Memo per il Congresso Nazionale
È un momento non certo facile per tutti noi, sia sul versante delle prospettive lavorative, nelle quali non mi addentro, ma anche sul versante delle Società Scientifiche, sul loro ruolo e sulla possibilità di essere veramente un punto di riferimento e di aggregazione costruttiva. La penuria di risorse certo non giova, ma forse anche dalla crisi qualche cosa di buono può alla fine uscire.
Da parte nostra siamo stati costretti a “snellire” la gestione societaria, eliminando sprechi, riordinando l’indirizzario, eliminando i morosi, affidando l’informazione al formato elettro- nico ridimensionando il ruolo della carta stampata, ottimizzando le riunioni del Consiglio Direttivo.
Certo c’è ancora molto da fare: ad esempio va incentivata la rappresentanza femminile, visto che ormai, fra i neurologi, le Colleghe sono sicura- mente di più dei maschi. Andrà anche ripensato il modo di concepire il Congresso Nazionale e sarà da valutare la possibilità di fornire ulteriori servizi ai Soci. Inoltre, la SNO deve iniziare a sedersi ai tavoli tecnici ministeriali e non essere solo spettatrice. Altrimenti, gli “amministrativi” faranno sparire la realtà delle neuroscienze ospedaliere.
La SNO ha istituito, fino ad ora, 3 Gruppi di Studio, ma si spera altri ne verranno. Oltre quello delle Malattie rare, c’è quello di Neuroestetica e quello sullo Stato Vegetativo.
Ad oggi molto attivo è quello sulle Malattie Rare, coordinato da Ebba Buffone, che ha già realizzato una giornata di studio a Brindisi, con la fattiva collaborazione di Bruno Pas sarella.
La rivista Progress in Neuroscience, organo ufficiale, è ormai una realtà(www.progressneuroscience.com). Il sito web della SNO (www.snoitalia.it), seguito dal Presidente Giuseppe Neri, deve essere sempre più il nostro biglietto da visita interattivo con tutti i Soci.
Sono molti gli argomenti sui quali anche voi siete invitati a meditare e ad essere propositivi per migliorare la SNO, affinché sia sempre più vicina alle reali esigenze dei suoi Soci.
La Segreteria SNO è sempre aperta ed il Bollettino SNO può fungere da vostra cassa di risonanza per le vostre iniziative professionali e segnalazioni (redazione@bollettinosno.it).
Il fatto che le iscrizioni di nuovi Soci siano in costante incremento ci fa ben sperare che la strada intrapresa sia quella giusta.
Bruno Zanotti
Segretario Nazionale SNO
Incontro SNO Apullo-Lucana
La SNO è soprattutto realtà locale. Molto attiva la sezione Appulo-Lucana coordinata da Bruno Passarella. Lo scorso marzo ha organizzato, a Brindisi, presso la Tenuta Moreno di Mesagne, l’abituale incontro annuale.
Questa riunione scientifica ha fornito una puntuale opportunità di aggiorna- mento e confronto su alcuni temi di particolare attualità e rilevanza, in un contesto multidisciplinare (nello spi- rito SNO). Per far questo si è avvalsa del contributo di esperti del settore di indiscussa competenza, provenienti da varie realtà italiane, attraverso approfondimenti specifici, a cui è stato dedicato un ampio spazio di discussione, definendo i più opportuni per- corsi diagnostico-terapeutici.
Nel corso della mattinata sono state trattate alcune patologie disimmuni del sistema nervoso, nonché altri argomenti di particolare interesse clinico: le ipercreatinchinasemie, le possibilità ed i limiti della “deep brain stimulation” nella malattia di Parkinson, nuove tecniche di neurochirurgia ricostruttiva cranica. Ampio spazio è stato dato al contributo diagnostico delle neuroimmagini, anche in ambito neurovascolare.
Il pomeriggio è stato dedicato alla presentazione ed alla discussione di numerosi casi clinici, strumento insostituibile per capitalizzare collettiva- mente le singole esperienze cliniche. Ha portato il saluto del Presidente Giuseppe Neri e del Consiglio Direttivo SNO Nazionale il Segretario Bruno Zanotti, che ha ricordato che la SNO, da alcuni anni, partendo dalla presidenza di Marcello Bartolo, ha cercato di avviare con le Sezioni Regionali un più stretto rapporto pianificando degli incontri con i Coordinatori, al fine di raccogliere proposte e cercare di comprendere le criticità.
La sezione Appulo-Lucana è una delle realtà più vive ed è stata anche quella che ha dato ospitalità al primo incontro del Gruppo di Studio SNO sulle “Malattie rare”, coordinato da Ebba Buffone.
Zanotti ha concluso auspicando un costante rinnovamento all’interno della Società SNO, soprattutto per quanto riguarda la partecipazione delle Colleghe che, nelle neuroscienze, sono ora la maggioranza.
Rete stabile di dialogo tra professioniste
Proseguono gli appuntamenti di “Donne in Neuroscienze”. Questa volta è toccato a Milano (14 febbraio 2014), presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il prossimo incontro sarà in occasione del Congresso Nazionale SNO di Genova e tratterà “Evidence Based Medicine (EBM) e malattie di genere”. Queste ultime sono una branca recente delle scienze biomediche che ha l’obiettivo di riconoscere e analizzare le differenze derivanti dal genere di appartenenza.
Donne medico, donne ricercatrici, donne scienziate, donne imprenditrici, donne manager della sanità, donne che operano nel campo delle Neuroscienze si sono messe nuovamente a confronto per discutere di femminilizzazione delle carriere, problemi, successi, marginalità, conciliazione con la famiglia e conseguenze nella società. Donne in Neuroscienze con la testa, con il cuore e con lo spirito di chi la questione di genere l’ha vissuta senza complessi, discutendo sempre alla pari con i colleghi maschi, in un sistema che impone però ancora scelte al maschile, a parità di merito. Fare rete, creare alleanze e collaborazioni tra donne è l’obiettivo del progetto messo a punto dalle neurologhe Marina Rizzo e Maria Grazia Piscaglia, per abbattere barriere ed ostacoli nel percorso verso l’uguaglianza di genere nelle Neuroscienze, in un Paese che risente ancora dell’insufficienza di carattere legislativo nella tutela femminile.
L’incontro si è aperto sotto i buoni auspici del Parlamento Europeo, che ha designato il 2014 Anno Europeo della Conciliazione Famiglia e Lavoro, anno che coincide anche con il 20° anniversario dell’International Year of the Family. Simbolo della campagna europea 2014 è una famiglia di pinguini, emblema di condivisione dei compiti all’interno della famiglia. Siamo particolarmente contenti che sulla medicina di genere la SNO, con le sue qualificate rappresentanti, abbia, di fatto, il compito di battistrada in questo dibattito. Marina Rizzo, che è anche Consigliere SNO, ha intrapreso un lavoro estremamente qualificante per tutti noi.
Il successo delle Neuroscienze Toscane
Nei giorni 11 e 12 aprile 2014 si è svolto presso l’IRCCS Centro di Riabilitazione “Don Carlo Gnocchi” di Firenze il II Meeting della Sezione Toscana della SNO.
L’evento ha registrato una grande affluenza ed una grande partecipazione ai lavori scientifici.
È stato un incontro che ha visto alcuni dei temi più importanti che caratterizzano le neuroscienze affrontati per gli aspetti scientifici, ma anche per quelli organizzativi del contesto regionale toscano.
Il congresso, dal titolo “Nuove frontiere diagnostiche e terapeutiche nelle neuroscienze”, si è sviluppato, in una serie di sessioni, con relazioni su: epilessie causate da tumori encefalici, neuroimaging e terapie della sclerosi multipla, terapie della malattia di Parkinson nella fase avanzata, integrazione multidisciplinare in neuroriabilitazione, trattamento e profilassi dell’ictus e percorsi assistenziali per la malattia di Alzheimer. Altri argomenti trattati sono stati quelli del percorso diagnostico e terapeutico della malattia di Pompe, della plasticità cerebrale e depressione e della gestione clinica dell’iponatriemia.
Molto significativa è stata la partecipazione dei giovani colleghi, che hanno marcato la loro presenza con 83 poster e 3 comunicazioni orali; il numero complessivo di presenze calco- late nei due giorni è stato di 243; le preiscrizioni al meeting sono risultate 99 e le nuove iscrizioni alla Società SNO sono state 81; molte sono state le aziende presenti e tutte hanno espresso un significativo apprezzamento per l’evento.
Hanno portato i loro saluti le autorità sanitarie cittadine, Pasquale Palumbo, Coordinatore Regionale SNO Toscana, e Giuseppe Neri, Presidente Nazionale della SNO.
Il programma si è articolato anche attraverso il dibattito della tavola rotonda sviluppata sul tema “Le neuro- scienze toscane nel cambiamento del sistema sanitario regionale”.
La tavola rotonda ha visto la partecipazione di Rossano Mancusi (in rappresentanza di Luigi Marroni, Assessore per il diritto alla salute della Regione Toscana), di Antonio Panti (Presidente della Federazione Regionale Toscana dell’Ordine dei Medici) e di Marco Remaschi (Presidente della IV Commissione del Consiglio Regionale della Regione Toscana). Hanno mode- rato Antonio Federico, Paolo Zolo ed Alfio Cantini. Nella sua introduzione Pasquale Palumbo ha inviato un messaggio forte alle istituzioni chiedendo che, in una fase di difficile cambia- mento, le neuroscienze, per l’importanza che rivestono, vengano sostenute nei loro ambiti assistenziali, di ricerca e di rappresentanza.
Gli invitati hanno dichiarato a nome dell’istituzione regionale un forte interesse, assicurando un impegno verso le politiche a sostegno delle neuro- scienze toscane.
Il meeting, dopo 2 anni di esistenza della SNO regionale, è stata una ulteriore conferma che le neuroscienze in Toscana sono uscite “dall’angolo” ed hanno recuperato compattezza e “potere contrattuale”.
Tutto questo è stato reso possibile soprattutto grazie al lavoro svolto dal Coordinatore ed alla partecipazione ed all’impegno dei rappresentanti delle neuroscienze di tutti i territori toscani.
Il Consiglio Regionale SNO, nel corso dell’assemblea dei soci, ha espresso un corale e forte apprezzamento per il Coordinatore regionale uscente, Pasquale Palumbo (UO di Neurologia di Prato), che ha saputo tenere insieme impegno scientifico ed attenzione verso i temi dell’organizzazione sanitaria.
È stato quindi eletto all’unanimità il nuovo Coordinatore SNO Toscana Nino Zaccara (UO di Neurologia di Firenze). Appena eletto, Zaccara ha chiesto al Coordinatore uscente, Palumbo, di collaborare e continuare a lavorare per le neuroscienze toscane nella veste di “Past President”; l’assemblea ha approvato e come ulteriore riconoscimento dell’impegno profuso ha indicato Prato quale sede del prossimo meeting regionale 2015. Inoltre, durante l’assemblea è emersa la volontà di raggiungere nuovi e più ambiziosi traguardi attraverso uno spirito unitario, uno sguardo ampio e soprattutto superando vecchi steccati. Le neuroscienze (neurologiche, neurochirurgiche e neuroradiologiche) delle aziende territoriali, d’intesa anche con le realtà universitarie, dovranno insieme trovare un orizzonte comune che sappia valorizzare gli elementi unificanti, superando visioni particolari e mettendo in rete le diverse discipline, l’ambito ospedaliero, quello territoriale, il settore della ricerca e quello assistenziale.
La segreteria organizzativa della giornata è stata garantita da More Comunicazioni (06-89011781), che è ora impegnata anche per il prossimo incontro di Prato 2015
Premio SNO-Anemos
Alcuni sicuramente ricorderanno che tempo fa è stato promosso il premio SNO-Anemos (Bollettino SNO, n. 9, ottobre 2012) inerente lavori originali su argomenti di neuroscienze.
Ebbene, ora abbiamo i vincitori. Anzi, no, le vincitrici! Infatti, i due lavori, fra quelli pervenuti, sono stati realizzati da giovani professioniste a riprova, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che le neuroscienze battono sempre più al femminile. Si tratta di due lavori “particolari” che sono prossimi alla stampa. Infatti, il premio consisteva proprio nella stampa dei lavori stessi. Il primo studio selezionato, di Federica Sanfilippo (Catania), ha per titolo: “Musica e cervello: la sinfonia perfetta”. La Sanfilippo è anche una valente musicista. Riportiamo la presentazione di Lorenzo Genitori (Firenze), membro della giuria. “Musica e cervello: La sinfonia perfetta? Il punto interrogativo è d’obbligo quando si intenda affrontare uno degli argomenti più spinosi ed affascinanti della scienza. Esiste una correlazione tra musica e cervello? Quanto di questa umanissima trascrizione è espressione della umanissima funzione cerebrale? Quanto la musica fa bene al cervello? O quanto può fare male? Come si vede vi possono essere tantissime domande alle quali spesso non è possibile dare una risposta che abbia basi sufficientemente solide da poter essere definita “scientifica”. Questo è il razionale da cui parte questo importante lavoro, assolutamente rigoroso, che tenta di valutare l’effetto della musica di Mozart in alcune malattie del sistema nervoso centrale. Dopo una introduzione molto interessante sulle caratteristiche intrinseche della musica di diversi compositori, l’Autrice analizza specificatamente le motivazioni per cui, forse, la musica di Wolfgang Amadeus Mozart, si avvicina, più di altri, alle modalità di funzionamento della corteccia cerebrale umana. Quanto ciò faccia parte proprio delle modalità compositive del nostro, od invece non sia soltanto l’espressione di una più ampia melodia universale che il nostro ha saputo cogliere, rimarrà un segreto. Ma ciò non importa in quanto, molto intelligente- mente, l’Autrice si lancia immediatamente nella descrizione degli effetti della sua musica sull’uomo. Viene così descritta la sindrome di Lennox- Gastaut e la rigorosa metodologia di analisi dei risultati. L’“effetto Mozart” funziona! Dopo l’ascolto della sonata per due pianoforti KV448, i pazienti dimostrano un miglior controllo delle crisi epilettiche ed altri miglioramenti clinici, come già riportato in letteratura. Anche i pattern elettroencefalografici evidenziano un miglioramento sensibile. Mozart muore giovane nel 1791. Aveva composto la sonata KV448 a 25 anni. Era stato un “enfant prodige” ed aveva probabilmente un “orecchio perfetto”. Poco si sa sulle patologie che portarono a morte un così grande genio a soli 35 anni. Recentemente ne sono state contate ben 118! Sicuramente tutto ciò rimarrà un mistero, ma a noi questo non importa. Questo compositore ha saputo sicuramente entrare in contatto con la “melodia universale” e ce ne ha lasciato un aspetto che continua a sedurci tutti.”
L’altra premiata è Sara Pinelli (Venezia), con il lavoro intitolato “Faust. Il fatto”. Riportiamo di seguito la presentazione di Marco Ruini (Reggio Emilia), membro della giuria. “I temi che trattano della natura dell’uomo sono stati affrontati dalla letteratura e dall’arte ben prima che se ne interessasse la scienza moderna. Per molti secoli la religione e il mito hanno dato risposte metafisiche alle domande che l’uomo si poneva sulla vita, sulla mente e sulla morte, preferendo il mondo delle idee platonico alla realtà terrena, al mondo delle cose aristotelico. Quando le neuroscienze hanno iniziato a studiare questi argomenti, fino a quel momento di competenza teologico-filosofica, e hanno finalmente esplorato le potenzialità del nostro cervello, il rapporto tra la biologia e la mente, i meccanismi inconsci alla base delle nostre capacità decisionali, l’apprendimento, la memoria, le emozioni, utilizzando il metodo scientifico della sperimentazione e della verifica, le tragedie greche erano già state scritte da duemila anni e l’animo umano era stato sondato dai poeti e dai filosofi in tutte le sue sfumature. Quando poi il nuovo mito empiristico della scienza ha iniziato il suo sviluppo esponenziale non ha soppiantato il pensiero artistico o filosofico speculativo. Ad esempio l’importanza dell’inconscio sulla personalità e sui comportamenti umani è emersa contemporaneamente nell’800 in filosofia, in psicologia e nella letteratura russa; la convivenza con la cibernetica, con l’uomo protesico e con il nostro doppio sono stati esplorati prima da Asimov che dalla scienza medica o ingegneristica. Le neuroscienze debbono tanto alla intuizione e al mito ed è una loro caratteristica cercare di guardare i temi a loro cari da più punti di vista. Una visione multidisciplinare, la capacità di vedere di lato suggerita da Foucault, è fondamentale per avere una visione di insieme e non cadere nei particolarismi. Lo studio dell’arte è stato fondamentale, ad esempio, per le scoperte di Eric Kandel e di Semir Zeki. Non c’è quindi da meravigliarsi di trovare corrispondenze tra le scienze e il mito di Faust, che probabilmente è anche esistito, come del resto Paracelso, che viene più volte citato in questo lavoro. Il pensiero che si è svincolato dalle linee guida e dalle regole della tradizione e delle istituzioni, per quanto osteggiato e vilipeso, riemerge periodicamente e, ritrovando dignità, diviene la base del progresso. La fama futura non toglie però ai protagonisti la sofferenza e l’amarezza dell’incomprensione e del vilipendio. La ricerca della conoscenza, il tentativo di andare avanti e non accontentarsi di ciò che viene presentato come “ragione costituita” o “verità assoluta” ha accompagnato la storia dell’uomo moderno con le stigmate dell’eresia e del patto col diavolo. Negli ultimi secoli avere una visione diversa del mondo non era ammesso senza essere inseriti nella sfera della sragione e Foucault attribuisce al potere di turno il tentativo di arginare questa devianza nella istituzione manicomiale tramite la diagnosi di follia. Liberi pensatori, eretici, scienziati, inventori, artisti, utopisti sono così accomunati, col biasimo generale, a lebbrosi e delinquenti e vengono emarginati o internati, in quanto entrare nel mistero e cercare la conoscenza in modo autonomo sono frutto di desideri perversi, idee degenerate e immorali. La paura, la demonizzazione, il senso di colpa debbono tenerle lontane dalla cives per evitare il contagio. Ecco accostati il libertino al demonio o alla follia, il piacere e il corpo al peccato. I luoghi comuni e i dogmi aprono quindi il tema del libero arbitrio: quanto il determinismo della nostra mente condizionata dal nostro in- conscio influisce sulla nostra capacità decisionale, quanto influiscono la cultura, l’educazione, le credenze. Il mito di Faust confermerebbe che il libero arbitrio non esiste, quando non sono le istanze morali a guidarci nelle decisioni lo sarebbe il patto col demonio. La struttura di questo meccanismo, di questo patto che potrebbe anche essere stipulato in buona fede, viene ben rappresentata dal testo teatrale che accompagna e completa questa opera. Partendo dalla vita di Rita Levi Montalcini, a detta dell’Autrice consacrata esclusivamente alla scienza, alla mente, all’essere, la protagonista vorrebbe ripercorrerla dando questa volta importanza al corpo e all’apparire. Il suo assistente le apre le porte del virtuale ed ecco che, nonostante la sua veneranda età, la scienziata può guidare due avatar e vivere quelle soddisfazioni mondane che la vita reale le aveva precluso. Si ritroverà però alla fine spogliata di quei successi, derubata delle identità da lei inventate come era stato delle sue scoperte scientifiche utilizzate per fini contrari a quelli che la sua etica avrebbe voluto. Il suo assistente risulterà essere Mefisto, ritorna il patto col diavolo che prima dà la conoscenza, il successo per poi chieder pegno, lasciandoti privo di ogni identità. Questa volta il Faust è donna ma, il paradigma che giudica le azioni e la vita è lo stesso, utilizza un linguaggio di genere maschile, una visione maschilista del potere e soprattutto una struttura della società che segue la pastorale cristiana: il pastore o il governante o il demonio che ben conoscono le proprie pecorelle e le istruiscono a seguirlo con la paura, con la lusinga o con l’inganno lasciando loro credere nel libero arbitrio. Partendo quindi dal mito antico, passando per Faust e per il suo patto, attraverso la ricerca della conoscenza e del libero arbitrio si arriva al tema del doppio e del mondo virtuale, una delle frontiere delle neuroscienze e della psicologia ancora da attraversare e della quale il finale di questo libro sembra aprirci le porte.”
Le infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana
durante la Grande Guerra
Era l’ormai lontano 1908 quando, su iniziativa della Regina Margherita di Savoia, nacque a Roma il Corpo delle
Infermiere Volontarie, componente tutta al femminile della Croce Rossa Italiana (CRI) che proseguiva, in forma più organizzata, le attività sociosanitarie delle Dame della Croce Rossa d’inizio ’800.
Dato che siamo a pochi mesi dall’anniversario della Grande Guerra, crediamo valga la pena ricordare anche questa storia, che apparentemente sembra una storia minore. Sì perché le cartoline dell’epoca ci raccontano di donne ben vestite e curate che si prendevano cura di feriti neanche troppo laceri, appoggiati ad alberi (Figura 1) o in comodi letti. Immagini da cui non si percepisce il rumore della battaglia o l’orrore della guerra, ma che anzi trasmettono una materna serenità, infondono tranquillità. Ma se non è una bugia, è sicuramente meno di una mezza verità, figlia di un preconcetto del tutto maschile. O meglio, come scrive Stefania Bartoloni (Italiane alla guerra. L’assistenza ai feriti 1915-1918), dovuta al fatto che “la storia degli uomini non va di pari passo con la storia della donne”.
Basta scavare un po’ e saltano subito fuori foto di crocerossine in trincea sul Carso (Figura 2) e non in gita premio; di crocerossine in punti di medicazione improvvisati e non in comode ville palladiane (Figura 3). Esse agirono al fronte (Figura 4), nelle immediate retrovie (Figura 5), sui treni ospedale (Figura 6) e negli ospedali (Figura 7 e 8).
Con la loro presenza, abnegazione e istinto materno, riuscirono ad umanizzare il volto crudele della guerra (Figura 9).
Da uno studio più attento e accurato dei documenti dell’epoca, emerge una struttura di vera e propria unità combattente che aveva un suo comando e una sua organizzazione. La regina Elena, consapevole che, per ragioni di sicurezza, non avrebbe potuto ricoprire il ruolo di Ispettrice nazionale del Corpo delle infermiere volontarie, nell’aprile del 1915 affidò quest’incarico alla duchessa Elena d’Aosta (Figura 10), moglie di Emanuele Filiberto, duca d’Aosta, comandante della III Armata. La scelta non poteva essere più indovinata, in quanto la duchessa aveva già prestato servizio nella guerra libica. Equiparata al grado di generale (alle crocerossine, infatti, per dotarle di autorità e difesa in un mondo tipicamente maschile vennero dati i gradi da ufficiale), ella non trovò nella organizzazione della Croce Rossa quella professionale efficienza necessaria ad affrontare la dura realtà della guerra; ma la duchessa Elena era una formidabile organizzatrice e così intraprese una azione di ristrutturazione a tappeto fra gli ospedali gestiti dall’associazione.
Le 4.000 infermiere volontarie del 1915 arrivarono a 6.000 l’anno successivo e alla fine del conflitto se ne contarono 10.000.
Una organizzazione, dicevamo, che fu caratterizzata, fra l’altro, da una ferrea disciplina; in quanto donne erano più controllate e censurate degli uomini. E da una altrettanto rigida autodisciplina per essere ammesse tra i combattenti.
Come tutte le unità combattenti ebbe le sue perdite. La più famosa è sepol- ta nel Sacrario di Redipuglia. I soldati della Terza Armata la vollero con i loro morti e sulla stele che la ricorda è scritto: “Crocerossina Margherita Parodi di anni 21 – Caduta di Guerra” “A noi tra bende, fosti di carità ancella. Morte ti colse: resta con noi sorella”. Non fu l’unica: al termine delle operazioni belliche si contarono 44 vittime (per ferita o causa di servizio) e 3 prigioniere.
Tuttavia quella delle crocerossine non è solo una storia di guerra, ma è anche una piccola, grande storia di donne. Una storia contraddistinta da contraddizioni e ambiguità, una storia di emancipazione femminile, una storia che non si esaurisce nel 1918.
Qualcuno ha scritto che l’800 non finì con l’inizio del XX secolo, ma con lo scoppio della Grande Guerra ed infatti durante i primi anni del nuovo secolo si trascinarono antichi retaggi, contraddizioni ed ambiguità, che la guerra, almeno in parte, spazzò via. Per esempio le crocerossine coniugate, per andare al fronte e magari sacrificare la loro vita, dovevano chiedere l’autorizzazione al marito (di conseguenza le infermiere che non avevano vincoli familiari o almeno senza figli apparivano senz’altro preferibili). Senza contare quelle che scapparono di casa non avendo ottenuto il beneplacito dei genitori. Oppure, dato che le infermiere appartenevano alle classi sociali più elevate, a loro fu fatto divieto di occuparsi degli ufficiali del loro stesso ceto e quindi alle volontarie venivano affidati i soldati semplici di estrazione popolare.
Chi non ha letto o visto “Addio alle armi” di Ernest Hemingway? Il tenente americano che diserta per raggiungere l’infermiera inglese di cui è innamorato sullo sfondo della disfatta di Caporetto. Vista la ferrea disciplina e i divieti di cui sopra, questa storia non poteva certamente avere una protagonista italiana! Per le nostre crocerossine, soprattutto quelle impegnate in zona di guerra, c’erano soldati urlanti da medicare, turni massacranti, stress psicologico e granate che lasciavano poco spazio alle relazioni sentimentali e a qualsiasi tipo di svago o passatempo.
Una storia di emancipazione femminile: la prima guerra mondiale richiese uno sforzo collettivo che portò le donne fuori di casa e le introdusse nel mondo del lavoro. Operaie, spazzine, tranviere, barbiere, postine, impiegate amministrative, direttrici d’orchestra, boscaiole, ecc. In pochi mesi le donne si trovarono proiettate nel bel mezzo del mondo lavorativo stravolgendo, loro malgrado, una realtà da secoli immutata. Tanto che su un quotidiano dell’epoca, a proposito di questo argomento, troviamo scritto “il mondo alla rovescia”. Ma l’esperienza delle crocerossine nella Grande Guerra è stata una via all’emancipazione femminile. In questa frase della crocerossina Annie Vilanti “… Una ragazza che è chiamata a curare i feriti nel corpo e nell’anima non può vivere nella bella e puerile ignoranza di una volta…” troviamo tutta la spinta che poi permise al volontariato femminile, quando a guerra finita quasi tutte le donne rientrarono a casa lasciando il posto ai reduci dal fronte, di tornare meno indietro. Tanto è vero che pretesero ed ottennero l’istituzione di scuole professionali, da cui uscirono le prime infermiere specializzate. Un passo importante e basilare per cancellare il preconcetto secolare secondo cui “il medico (uomo) si occupa delle ferite e l’infermiera (donna) dei feriti” ed aprire le porte della medicina e della chirurgia anche alle donne, che fino ad allora erano rimaste sostanzialmente lontane da questa branca (a parte qualche rarissima eccezione), feudo indiscusso della categoria maschile.
Una storia che è continuata e continua ancora perché le abbiamo trovate nel gelo della Russia o sotto il sole rovente
del deserto africano durante la seconda guerra mondiale. Le troviamo ancora oggi in tutte le terre devastate dalla natura o dagli uomini.
La dura e drammatica esperienza della prima guerra mondiale ha rafforzato la “piccola” storia del Corpo delle Infermiere Volontarie della CRI, che da allora in poi ha accompagnato la “grande” storia dell’Italia.
FONTI CONSULTATE
-
Bartoloni S. Italiane alla guerra. L’assistenza ai feriti 1915-1918. Marsilio Editori, Venezia,
-
De Napoli D. La sanità militare in Italia duran- te la prima Guerra Mondiale. Editrice Apes, Roma,
-
Le infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana a 100 anni dalla loro istituzione. L’alpino Imolese 2008; 2.
-
Urbano G., Urbano P. La sanità militare du- rante la Grande Guerra. Atti del XXXIV Con- gresso di Storia della Medicina, Firenze, 1998.
-
Variola , Scandaletti P. Le crocerossine nella Grande Guerra. Una via all’emancipazione femminile. Aristocratiche e borghesi nei diari e negli ospedali militari. Gaspari Editore, Udine, 2008.
Angelo Nataloni
(Società Storica per la Guerra Bianca)
Angela Verlicchi
(Associazione SOS Cervello)
Bruno Zanotti
(Segretario Nazionale SNO)
Proposte di lettura
SALVATORE SPINNATO
LA RAPPRESENTAZIONA ANATOMICA DELL’IMMAGINE DEL CORPO UMANO
Salvatore Spinnato, neurochirurgo a Milano, ha recentemente dato alle stampe un elegante volume che narra di storia della medicina, anatomia, antropologia, mito, estetica e neuroscienze.
Un percorso anatomoartistico che rappresenta l’aspetto culturale di un impegno e di un interesse per l’anatomia umana, con un personale viaggio iconografico nel corso della storia nella rappresentazione del corpo umano attraverso incisioni, libri a stampa, sculture, dipinti e immagini fotografiche che documentano il rapporto tra arte e scienza nella raffigurazione e nella diffusione delle conoscenze anatomiche.
Anatomia e arte, un binomio inevitabile nella storia della cultura per gli artisti e gli anatomisti, a dimostrazione dell’inscindibile relazione tra la cultura umanistica e quella scientifica. Una lettura della “fabbrica del corpo” dall’epoca preistorica a quella contemporanea, che contempla l’importanza artistica, scientifica e didattica dell’iconografia anatomica e che focalizza l’attenzione sulla “bellezza” del corpo umano attraverso le immagini nelle arti figurative.
Nella prefazione al volume da parte di Rosa Borgia, Presidente della “Fondazione per le Neuroscienze Massimo Collice” e moglie del Collega neurochirurgo Collice, prematuramente scomparso, si legge: “Frutto dello “sconfinamento” di un uomo di scienza nel campo dell’arte, mi piace la sua impostazione concettuale. Avrebbe potuto intitolarsi: “L’anatomia del corpo umano: sua evoluzione” oppure “L’anatomia del corpo umano nell’arte”, ma lui sceglie di collocare tra i due dati: anatomia e corpo umano, due parole chiave: “rappresentazione” ed “immagine”, così l’attenzione del lettore viene subito richiamata sul ruolo centrale dell’atto conoscitivo. Si tratta, in questo caso, di un atto conoscitivo peculiare in quanto doppiamente creativo: è creativo una prima volta, come qualunque altro atto cognitivo, come ci hanno insegnato da tempo la filosofia e più recentemente anche la scienza quando affermano che la conoscenza costruisce il proprio oggetto; ma è creativo una seconda volta perché è proprio la creazione ciò che identifica l’opera d’arte. Di opere d’arte oltre che di scienza, il libro tratta. L’Autore è un neurochirurgo, un appassionato d’arte e di storia della medicina che dichiara di aver “contratto” questa passione dal suo maestro il dr. Massimo Collice nel corso degli anni di lavoro insieme presso la Struttura Complessa di Neurochirurgia dell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano. Questo mi rende il lavoro del dr. Salvatore Spinnato ancora più caro.” Il prossimo sforzo di Spinnato è sulla “nuca”, in specifico la nuca di donna, sempre con un viaggio antropologico-onirico fra arte e medicina.
Spinnato sarà presente con un suo intervento al Congresso Nazionale di Genova, mercoledì 21 maggio, alla fine della sessione di neuroestetica, curata da Enrico Grassi, Coordinatore del Gruppo di Studio SNO “Neuroestetica”, nello spazio dedicato al Premio SNO-Anemos. (Angela Verlicchi)