A cura di Franco Guida, Lorenzo Lorusso, Mario Po’, Alessandro Porro
Presentazione di Giuseppe Dal Ben
Il presente catalogo è stato allestito in occasione della donazione da parte di Rosa Borgia Collice baronessa di Roseto alla Scuola Grande di San Marco della raccolta di libri appartenuta a Massimo Collice (1945-2009).
Gli Autori
Rosa Borgia Collice, medico-chirurgo, Fondazione per le Neuroscienze Massimo Collice ONLUS. Milano.
Laura Bossi, medico-chirurgo, Laboratoire SPHERE (Science, Philosophie, Histoire), UMR 7219, Université Paris Diderot. Paris.
Giuseppe Dal Ben, Direttore Generale dell’Azienda Ulss 12 Veneziana. Venezia.
Alberto De Bernardi, medico-chirurgo, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda. Milano.
Alberto Delitala, medico-chirurgo, Presidente SINch-Società italiana di Neurochirurgia. AO San Camillo Forlanini. Roma.
Antonia Francesca Franchini, medico-chirurgo, ricercatore confermato di Storia della Medicina nell’Università degli Studi di Milano. Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità.
Lorenzo Lorusso, medico-chirurgo, Chair of History Committee. FENS – Federation of European Neuroscience Societies. ASST di Franciacorta. Chiari (BS).
Mario Po’, Direttore del Polo Culturale e Museale della Scuola Grande di San Marco. Venezia
Alessandro Porro, medico-chirurgo, professore associato di Storia della Medicina nell’Università degli Studi di Milano. Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità.
Vittorio Alessandro Sironi, medico-chirurgo, Direttore scientifico del CESPEB Centro Studi sulla Storia del Pensiero Biomedico. Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Salvatore Spinnato, medico-chirurgo, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda. Milano.
Si Ringraziano:
per aver generosamente contribuito alla realizzazione del presente catalogo; l’Associazione Storie di Neuroscienze che promuove le conoscenze storiche in ambito neuroscientifico; il personale dell’Azienda Ulss 12 Veneziana e del Polo Culturale e Museale della Scuola Grande di San Marco di Venezia per la collaborazione prestata. Le immagini riportate nel presente volume messe a disposizione dalla Biblioteca della Scuola Grande di San Marco, secondo le norme vigenti, possono essere riprodotte solo dietro concessione di esplicita autorizzazione. Le riproduzioni delle immagini messe a disposizione dalla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia sono riservate.
Presentazione
Giuseppe Dal Ben
Direttore generale dell’azienda ulss 12 veneziana
Riceviamo con gratitudine il fondo librario appartenuto al dottor Massimo Collice che la signora Rosa Borgia ha pensato di donare alla Biblioteca della Scuola Grande di San Marco, parte dell’Azienda Ulss 12 Veneziana e cuore culturale dell’Ospedale Ss. Giovanni e Paolo. Apprezziamo profondamente questo gesto che nobilita la figura del neurochirurgo Collice, che si affermò a Milano, perché ne sottolinea il profilo di studioso della scienza anche attraverso il suo interesse per la storia della medicina.
Nello stesso tempo pensiamo che la presenza dei suoi libri più preziosi nella Biblioteca della Scuola Grande marciana, ove saranno visti da appassionati e turisti di ogni parte del mondo, restituirà una luce senza pari alla sua memoria; ancor di più si coglierà tutto il valore della sua personalità, sapendo che a Venezia sono nate le sue prime intuizioni su uno degli argomenti cruciali del suo lavoro scientifico ed ospedaliero.
Per questo qui ritorna ciò che è iniziato in questa città.
Ogni gesto pubblico del nostro operare comunica un messaggio agli altri; così avviene anche quando si fa una donazione come in questo caso carica di significati.
Essa ha il carattere dell’esemplarità: è bene che si apprenda dal bene e che si diffonda la convinzione che le istituzioni pubbliche possono molto giovarsi della disponibilità senza prezzo dei singoli.
Questa scelta afferma anche un alto spirito civico, quale nutrimento identitario di una comunità, che si forma attorno ad una missione, un ideale, una funzione.
Tutto questo ha un rilievo speciale quando è rivolto ai valori della vita, della salute, della cura.
Sulle pareti dell’Ospedale Ss. Giovanni e Paolo troviamo oggi numerose lapidi che narrano la qualità professionale ed i meriti umanitari di alcuni medici, altre lapidi ricordano la visita di illustri personaggi, altre ancora raccontano le liberalità compiute verso l’Ospedale: tutti questi segni costituiscono nel loro insieme un Memoriale lapideo che impressiona per la sua vastità e consistenza.
C’è poi un altro Memoriale fisico, molto diffuso ed ancora più ampio e vario, costituito da presidi biomedicali, apparecchiature, mezzi di soccorso, libri donati da singoli ed associazioni per la dedizione sentita verso le persone malate e l’attaccamento all’Ospedale, struttura di appartenenza legata alla guarigione, al ricordo di un familiare, ad un impegno testamentario.
Crediamo che la donazione Borgia Collice sia espressione di più di un motivo tra questi e, rivolgendosi insieme all’Ospedale e alla Scuola Grande di San Marco, essa rappresenti la sintesi di un percorso culturale, medico ed etico. Di tutto questo siamo consapevoli e accettiamo ben volentieri e con onore questo ricco fondo librario che ha la capacità di legare anche città diverse, come Venezia e Milano, in nome della scienza dedicata alla vita.
La Donazione Borgia-Collice nella Biblioteca di Storia della Medicina
Dott. Mario Po’
Direttore del Polo culturale museale della Scuola Grande di San Marco Venezia
La biblioteca di storia della medicina, che dal 1950 è collocata nell’edificio della Scuola Grande di San Marco, si è definita in grande misura nel corso di alcuni decenni tra Otto e Novecento, grazie ad alcune donazioni.
Questa è la prima caratteristica della nostra istituzione, pur ricordando che essa si pone in ideale continuazione con la preziosa ma disciolta biblioteca del Convento domenicano dei Ss.Giovanni e Paolo. Cioè essa, pur nascendo nel 1819 da un primo nucleo istituzionale della raccolta contemporanea di volumi e riviste dell’Ospedale ottocentesco, conservata all’inizio appunto nel locale creato da Baldassare Longhena per i frati domenicani, si arricchisce successivamente, per numero ed importanza delle opere, a seguito della volontà di alcuni privati.
Non sono benefattori laici, però questi privati; sono infatti donazioni effettuate da medici dell’Ospedale, che accanto all’impegno per la scienza, all’eccellente pratica medica ed alla riconosciuta umanità verso gli ammalati amano la cultura, la letteratura, la filosofia e coltivano un profondo interesse per la storia della medicina. Questa è la seconda caratteristica della nostra istituzione: la munificenza dei suoi medici. Sono medici che sanno trovare in questa disciplina il significato profondo della loro scelta; così come sono consapevoli che anche l’Ospedale è parte della storia della civiltà veneziana, che ha un irrinunciabile capitolo dedicato alla cura delle persone, all’ordinamento sanitario, alle concezioni, alle scoperte, alle tecniche della medicina.
Per questo dopo aver speso la loro vita professionale in Ospedale (ma, a volte, proprio a conclusione della loro esistenza terrena), alcuni medici, potremmo dire illuminati dallo spirito della storia, avendo formato negli anni cospicue raccolte di libri antichi, decidono di legarsi ancora più saldamente all’istituzione che hanno servito ed amato, donando alla stessa i loro fondi librari. Citiamoli questi protagonisti della nostra Biblioteca, con l’anno della loro donazione: Pier Luigi Zannini (1889), Giacomo Cini (1899), Antonio Marconi (1911), Andrea Domenico Renier (1915), Pietro da Venezia (1915), Ernesto Bonvecchiato (1921), Carlo Pasinetti (1939), Giuseppe Jona (1943), Fabio Vitali (1950), Davide Giordano (1954).
Grazie a questi donatori oggi possediamo 18.000 volumi, oltre ad invidiabili raccolte di riviste scientifiche; soprattutto, possediamo le opere dei capisaldi della medicina greca, romana, araba, umanistica, positivista. Per questa terza caratteristica la nostra Biblioteca è stata dichiarata nel 1969 di eccezionale importanza con un decreto del Ministro dei beni culturali. Dal 2014, in coincidenza con l’apertura al pubblico della Scuola Grande di San Marco ed alla sua musealizzazione, il cuore più prezioso della Biblioteca, che comprende le cinquecentine sino, però, alle opere dell’anatomico veneto Antonio Scarpa (1747-1832), è stato completamente digitalizzato, per ragioni di sicurezza e di accessibilità da parte degli studiosi; oggi, pertanto, è fruibile dagli utenti sul sito web della Scuola (www.scuolagrandesanmarco.it).
Ho operato questi sommari richiami per dare un chiaro contesto al nobile gesto che Rosa Borgia ha pensato di compiere in nome del marito Massimo Collice, neurochirurgo a Milano, legato a Venezia per studi e ricerche, cultore di storia della medicina. È vero che Collice non è stato un medico del nostro Ospedale, ma la donazione dei suoi libri più amati alla nostra Biblioteca lo rende, attraverso la scelta della moglie, in qualche modo veneziano per cooptazione; cioè, partecipe dei principi che hanno ispirato le altre donazioni e allineato. – per coerenza cronologica e tematica con le opere date alle altre cinquecentine e sei-settecentine già presenti nella nostra raccolta. Possiamo, quindi, dire che anche questi volumi di Massimo Collice sono stati segnati dalle parole scelte da Davide Giordano per i suoi libri, donati alla Biblioteca di San Marco: “Lucerna oculorum meorum et laborum solatium”. Egli, e con lui ora anche Collice, ci ricordano che ogni libro ha la sua luce, niente meglio di un libro dà vero sollievo alle fatiche.
Un Neurochirurgo, un uomo
Alberto De Bernardi
Il neurochirurgo è lo specialista che si occupa del trattamento chirurgico di tutte le affezioni del sistema nervoso ovvero del cervello, del midollo spinale e dei nervi periferici.
Riveste pertanto un indiscutibile fascino nell’immaginario comune e pertanto la figura del medico neurochirurgo viene ad assumere un carattere molto speciale e quasi leggendario. La vita quotidiana tuttavia ci dimostra, come spesso capita, che questa figura leggendaria lo è solo sulla carta.
Eseguire un delicato intervento chirurgico, ma soprattutto assistere il malato ovvero prendersene cura nel bene e soprattutto nel male, confortarne i familiari ad aiutarlo nel lungo e difficile processo di cura della malattia è dono di pochi.
Queste persone speciali, con l’immenso dono di aiutare il prossimo salvando vite umane e confortando chi soffre io li definisco “illuminati”.
Illuminati come la luce che li avvolge, come il respiro che li anima e come quell’aura di speranza e di amore che riesce a pervadere ogni persona sofferente che si trova accanto a loro. Ecco, Massimo Collice era uno di loro!
Il dottor Collice era considerato dalla comunità scientifica, e con ragione, uno dei migliori neurochirurghi al mondo, questo tuttavia non deve far immaginare una carriera costellata unicamente di successi o l’eroe impavido che raggiungeva gli obiettivi senza fatica o paura.
Non vuol dire assolutamente questo anzi forse proprio l’esatto contrario. Massimo Collice era prima di tutto una persona estremamente colta, un appassionato lettore di testi scientifici, un cultore di anatomia umana con un grande interesse per la storia ed un autore di molte pubblicazioni scientifiche, testi e saggi.
Era un grande amante del suo ospedale, il Niguarda, che gli aveva concesso l’onore di entrare nella storia della Neurochirurgia ed il cui Reparto è oggi a lui dedicato; era facile percepirlo dalle sue parole, dal tono della sua voce quando ne parlava.
Queste sono le fondamenta del grande chirurgo e leader che era, intelligente, pronto, pacato, esperto. Si era dedicato, quasi in modo innato, alla Neurochirurgia vascolare ovvero la parte tecnicamente più complessa della Neurochirurgia dove ogni intervento è spesso una sfida prima di tutto a se stessi, abbracciando le tecniche chirurgiche più innovative e complesse e garantendo all’Ospedale Niguarda un ruolo di primo piano in Italia e non solo.
Ricordo come, in molte occasioni, si preparasse a procedure lunghe, complesse, e rischiose senza lasciar trasparire la benchè minima tensione riuscendo a celare il suo animo nel migliore dei modi, per infondere la massima fiducia nel gruppo medico.
Ho ricordi nitidi di quanto facesse in sala operatoria, di tutte le situazioni critiche che ha affrontato con calma imperturbabile da esperto conoscitore della materia.
Tutto questo era Massimo Collice; potrei spendere molte e molte righe a descrivere i suoi grandi risultati chirurgici e le sue prodezze tecniche ma questo poco lo differenzierebbe dai molti chirurghi che la storia della medicina ha esaltato e reso celebri.
Tuttavia il dottor Collice era molto di più.
Lui, il nostro primario, era diverso da tutte queste persone, bisognava infatti cercare nell’uomo Massimo Collice il vero senso di grandezza che lo ha reso unico ed immortale.
Se non lo conoscevi o lo avevi incontrato occasionalmente poco lo distingueva da molti medici primari, appariva schivo, disinteressato, di poche parole, quasi snob.
Ricordo il nostro primo incontro: era il 29 Maggio 2007, ospedale Niguarda, il suo studio personale, era un colloquio di lavoro.
In quell’ora e mezza capii subito che non avevo davanti una persona qualunque, ne fui certo poco dopo leggendogli in viso un abbozzo di sorriso alla mia forse “spavalda” affermazione di voler rimanere a lavorare con lui da quel giorno stesso. Fu una scintilla che lessi nei suoi occhi e che mi permise di vedere dentro di lui la persone che era, l’uomo.
Il suo profuso impegno operatorio era sempre associato ad una costante assistenza del malato ed impegno nei confronti dei familiari con cui discuteva spesso e fino a sera tarda. Le visite ai pazienti erano costanti e sempre in prima persona o da parte di una ristretta cerchia di medici che aveva l’onore di godere della sua fiducia.
Il risultato, la salute del paziente era tutto ed ogni mezzo era idoneo per raggiungerlo, non esistevano orari, feste, ferie. Un uomo, un gruppo, uno scopo… nulla altro. Se eri un medico, avevi la fortuna di lavorare con Lui, e ne condividevi gli ideali, all’improvviso nulla era più importante, solo il tuo lavoro, solo il malato.
Il dottor Collice aveva una parola per tutti, non era raro incontrarlo a parlare con colleghi medici primari come con addetti alle pulizie che a volte godevano di maggior considerazione.
In una occasione me lo disse esplicitamente e posso citarne ancora le parole: “ ricordati che a volte le migliori idee nascono dall’ultimo, per cui è sempre necessario ascoltare le idee di tutti”.
Massimo Collice aveva grandi doti che lo facevano rispettare da tutti, ma una su tutte era del tutto inaspettata per chi non lo conosceva: era la sua ironia, sottile, tagliente, in una parola spiazzante.
Ancora oggi e per sempre, molto del mio essere neurochirurgo nasce dai suoi inesauribili insegnamenti.
Purtroppo, come sempre capita nel ciclo della vita, ogni cosa è destinata a terminare con il solo e preciso scopo di poter, in seguito, ricominciare.
Nella notte del 23 Novembre 2009 moriva, dopo una breve malattia, il dottor Massimo Collice nel suo ospedale Niguarda. Le tenebre di quella notte avevano spento la luce di un “illuminato” e qualcosa era cambiato, lo si poteva respirare nitidamente nell’aria di quei giorni.
Era mancato un medico, un neurochirurgo, un grande luminare, una grande persona, ma soprattutto un amico.
Sine Anatomia non Sciemus: Un percorso iconografico sulla rappresentazione anatomica del corpo umano, presupposto della chirurgia
Salvatore Spinnato
Il termine “anatomia” si trova nel latino di Cèlio Aureliano (V secolo) come calco dell’etimo greco anatomé ‘dissezione’. La chirurgia è nata prima della parola che la designa. La parola “cheirourgìa” si trova nei libri del Corpus di Ippocrate (480-390 a.C.) e in quanto techne, cioè ‘arte’ fatta con le mani, inizia in Grecia. Le opere del Corpus Hippocraticum, riprese da scritti copiati e raccolti nella biblioteca di Alessandria d’Egitto, contribuirono al fiorire degli studi medici in questa città, dove iniziarono le prime ricerche anatomiche attraverso le dissezioni. La chirurgia, madre dell’anatomia, è la pratica manuale generatrice di conoscenza. Nella tradizione occidentale il vocabolario attinente l’anatomia ha le radici nella filosofia greca con Aristotele, che fu il primo ad affermare l’importanza dello studio dell’anatomia. L’anatomia umana si affermò come scienza nella scuola di Crotone con Alcmeone (V secolo a.C.) che inaugurò la dissezione fornendoci i primi elementi documentati di anatomia come scienza. Alcmeone eseguì le prime dissezioni dell’encefalo documentandole per iscritto. La pratica della dissezione trovò espressione nel III secolo a.C. nella scuola di Alessandria con Erofilo (ca. 325-280 a.C.) ed Erasistrato (ca. 310-250 a.C.). Durante l’epoca romana i contributi all’anatomia furono apportati da Claudio Galeno di Pergamo (ca. 129-200 d.C.) la cui autorità dominò la medicina fino al XVI secolo, ma le conoscenze si limitarono ai dati raccolti dalle dissezioni di animali che furono arbitrariamente estesi all’uomo. Nel Medioevo la chirurgia fu esercitata dal medico ippocratico, dal barbiere in bottega o dal cerusico sui campi di battaglia. Appresa per imitazione e ripetizione di gesti, la chirurgia si sviluppò attraverso l’esercitazione anatomica sui cadaveri. Nel X secolo presso la Scuola medica salernitana si affermò l’importanza dell’anatomia per la pratica chirurgica, ma non esistono documentazioni che assicurino l’esecuzione di dissezioni. La presenza delle scuole giuridiche e l’esistenza di una scuola chirurgica presso l’Università di Bologna si posero all’origine dello studio diretto del corpo umano. La prima dissezione fu praticata nel 1312 da Mondino de’ Liuzzi (ca. 1270-1326) che introdusse la pratica settoria nell’insegnamento di medicina. Mondino scrisse nel 1316 l’Anothomia, il primo trattato di anatomia che stabilì le regole del procedimento anatomico e di una nuova “grammatica” del corpo. Mondino è riconosciuto il capostipite del nuovo approccio alla dissezione, tanto che il chirurgo Guy de Chauliac (ca. 1300-1368) lo citerà nella Chirurgia Magna (1363). Guido da Vigevano (1280-1349) fu il primo a utilizzare immagini per illustrare descrizioni anatomiche nei testi. Nel manoscritto Anathomia Designata per Figures del 1345 sono raffigurate per la prima volta le strutture del sistema nervoso. Si tratta del primo studio, nella storia delle neuroscienze, di una descrizione accompagnata da illustrazioni schematiche. Nello stesso periodo Guido Lanfranchi fu autore nel 1296 di una Chirurgia Magna e riconobbe a sua volta il magistero di Guglielmo da Saliceto (1210-1277), autore di una Cyrurgia, il primo testo di chirurgia che dedica all’anatomia un capitolo. Il primo libro di anatomia a stampa illustrato fu pubblicato a Bologna nel 1521 da Jacopo Berengario da Carpi (1460-1530). Berengario eseguì dissezioni e craniotomie su cadavere.
Queste procedure furono il mezzo che gli consentìrono di impratichirsi nella trapanazione del cranio e nel 1518 pubblicò il Tractatus de Fractura Calve Sive Cranei. La sua esperienza fu coronata dalla pubblicazione nel 1521 del primo libro di anatomia illustrato, i Commentaria super anatomia Mundini.
Nella Isagoge del 1522 comprare la prima illustrazione dell’encefalo (figura 1) con la rappresentazione di diverse strutture anatomiche frutto di un’esperienza settoria diretta. Berengario riprese una frase del filosofo Bernardo di Chartres aprendo cosi un percorso scientifico nella storia dell’anatomia umana che procedette per piccoli passi, dove si dice che gli uomini di oggi sono come “nani appoggiati sulle spalle dei giganti del passato”.
Il riconosciuto innovatore dell’anatomia fu Andrea Vesalio (1514- 1564) con la pubblicazione nel 1543 del De humani corporis fabrica. Vesalio esercita l’atto della dissezione direttamente sul cadavere e il corpo, concepito come una macchina, viene “smontato”. Vesalio propose una “riscrittura” dell’anatomia, inaugurando una rivoluzione scientifica e affermando l’anatomia come scienza moderna. L’opera del Vesalio non fu l’unica che documentò capolavori illustrativi. A questi si affiancarono lavori da parte di anatomisti con la collaborazione di artisti e le nuove tecniche di stampa condussero alla realizzazione di atlanti anatomici che porteranno ad una riflessione sull’importanza dello sviluppo metodologico dello studio dell’anatomia. La nuova lettura della “fabrica” del corpo inaugurò la tradizione dell’iconografia anatomica della scuola patavina: Bartolomeo Eustacchio (1520-1574) eseguì nelle Tabulae del 1552 incisioni su rame colorate a mano; Girolamo Fabrici d’Acquapendente (ca. 1533- 1619) affermò per primo l’importanza dell’uso del colore nelle immagini anatomiche con le Tabulae Pictae (figura 2); Charles Etienne (ca. 1504-1564) nel De dissectione del 1545 focalizzò l’attenzione su figure maschili che mostrano il contenuto della scatola cranica; Giulio Casserio (1552-1616) disegnò per primo nelle Tabulae del 1627 il circolo anastomotico della base cranica, descritto dal Jacob Wepfer (1620- 1723) nel 1658, sei anni prima della descrizione di Thomas Willis (1622-1675) nel Cerebri Anatome del 1664. L’anatomia divenne anche una rappresentazione pubblica nei teatri anatomici, laddove la dissezione fu spettacolo ritualizzato del gesto scientifico e lezione al tempo stesso. I teatri furono i luoghi dove si scoprirono i misteri del corpo attraverso il quale l’anatomista spettacolarizzò l’architettura dello stesso.
Alessandro Benedetti (1452-1512) ideò a Padova il primo teatro, sostituito nel 1594 dalla struttura permanente di Fabrici. Sull’esempio di Padova, i principali centri universitari europei si dotarono di teatri anatomici. L’anatomia registrò nel Rinascimento la sua massima espressione attraverso artisti che parteciparono alle dissezioni, un metodo scientifico che si concretizzerà nel lavoro dei futuri chirurghi. Nel Rinascimento tre elementi furono fondamentali per lo sviluppo degli studi anatomici: il riconoscimento dell’anatomia, l’accettazione della dissezione come metodo scientifico e le tecniche di stampa. Michelangelo (1475-1564) e Leonardo da Vinci (1452-1519) applicarono lo studio diretto dell’anatomia alla propria arte, con una prospettiva di osservazione finalizzata alla rappresentazione del disegno anatomico attraverso le dissezioni. Dalla fine del XVII secolo si diffuse l’anatomia “plastica”: l’arte di riprodurre a scopi didattici modelli anatomici di figure umane in cera o in cartapesta. Il preparato anatomico acquisì una tridimensionalità nella forma di un modello fedele alla realtà rispetto all’illustrazione, contribuendo significativamente alla pratica chirurgica. L’arte del modellare in cera nacque a Bologna con Ercole Lelli (1702-1766) che diede inizio alla prima impresa di ceroplastica anatomica sistematica. Gunther von Hagens ha recentemente ripreso l’opera dei ceroplasti con la tecnica della plastinazione (figura 3).
L’anatomia contemporanea si manifesta attraverso dispositivi di imaging che ci forniscono una visione attraverso immagini tridimensionali, una nuova “lezione di anatomia” per un viaggio nella “fabrica” del corpo, supportata dallo sviluppo della scienze neuroradiologiche che hanno contribuito alle conoscenze delle funzioni cerebrali.
Bibliografia
Berengario da Carpi J. Isagoge breves Perlucide ac uberime in Anatomiam humani corporis. Bononiae, Impressum per Benedictus Hectoris, 1522.
Casserio G. Tabulae Anatomicae LXXIIX. Venetiis, Apud Deuchinum, 1627.
Cosmacini G. La vita nelle mani. Storia della chirurgia. Bari, Laterza, 2003.
Fabrici d’Acquapendente G. Tabulae Pictae. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, 1600.
Mondino de’ Liuzzi. Anothomia. Lipsiae, Martin Landsperg, 1494.
Olmi G. Rappresentare il corpo. Arte e Anatomia da Leonardo all’Illuminismo. , Bologna, Bononia University Press2004.
Spinnato S. La rappresentazione anatomica dell’immagine del corpo umano. Trento, New Magazine Edizioni, 2013.
Vesalio A. De Humani Corporis Fabrica Libri Septem. Basileae, Ioannis Oporini, 1543.
von Düring M, Poggesi M. Encyclopaedia Anatomica. Museo La Specola Firenze. Cologne, Taschen, 2006.
Willis T. Cerebri Anatome: cui Accessit Nervorum Descriptio et Usus. Londinii, Typis Ja. Flesher, impensis Jo. Martyn & Ja. Allestry, 1664.
Chi ha scoperto la scissura di Silvio?
Rosa Borgia Collice
Questo titolo sarebbe perfetto anche per una detective story… E in qualche modo è proprio di una detective story che si tratta: un’osservazione del tutto fortuita getta il dubbio su di un fatto accettato per oltre 300 anni dalla comunità medico-scientifica e fa nascere l’esigenza di un nuovo esame delle fonti originali per consentire una ricostruzione più esatta e veritiera della vicenda che ha condotto ad attribuire e a conservare a Silvio (Franciscus Sylvius Delaboe 1614-1672) la paternità dalla scoperta della “struttura” cerebrale che da lui prende il nome.
Tutto ha origine qui a Venezia nel 2004, anzi a voler essere precisi, gran parte di ciò che stiamo per narrare ha avuto luogo, fin dal suo lontano cominciamento nel diciassettesimo secolo, sotto la bandiera del Leone Alato. Nel 2004, dopo un accurato restauro, vengono esposte a Venezia le Tabulae Pictae di Girolamo Fabrici d’Acquapendente (c. 1533-1619).
Fabrizio è il medico più celebrato della sua epoca; tra i suoi pazienti ci sono: Galileo, Paolo Sarpi, i duchi di Mantova, l’Imperatore Sigismondo III, i granduchi di Toscana…
Succedendo al suo maestro Gabriele Falloppio, ottiene la prestigiosa cattedra di Anatomia e Chirurgia dell’Università di Padova che circa un secolo prima era stata, tra gli altri, di Andrea Vesalio; terrà questa cattedra dal 1595 fino al 1616.
Tra i numerosi progetti scientifici di Fabrizio il più ambizioso riguarda la realizzazione di un atlante nel quale oltre 300 illustrazioni dipinte a mano dovranno rappresentare il corpo umano in ogni suo dettaglio e l’anatomia di numerosi animali: è il celebre Theatrum Totius Animalis Fabricae cominciato nel 1591, mai completato né mai pubblicato, del quale rimangono solo le cosiddette Tabulae Pictae. Si tratta di tavole dipinte ad olio su carta conosciute ed apprezzate dai contemporanei ma poi dimenticate per quasi 300 anni fino a quando (precisamente nel 1909) Giuseppe Sterzi (1) , un Anatomico con un grande interesse per la storia della medicina, nel corso delle sue ricerche sulla vita dell’allievo di Fabrizio, Giulio Casserio, le trova nella Biblioteca Marciana a cui Fabrizio le aveva donate per lascito testamentario: Alla Ser.ma S.ria di VENETIA, per segno di riverente gratitudine, lascio tutte le mie Pitture colorate di Anatomia, insieme con i Libri già stampati, ove sono delle dette Pitture, da mettere nella libreria o altrove: si che si conservino. Le quali havendo io fatte a beneficio del Mondo, desidero che si lascino copiare a chi ne havesse desiderio purchè l’Autentico resti (dal testamento di Girolamo Fabrici d’Acquapendente – Padova 9 novembre 1615).
Dal momento del loro ritrovamento passano quasi 100 anni e, finalmente, nel 2004 le Tabulae vengono mostrate in pubblico . Meravigliose nel loro rinnovato splendore, meritano una mostra: Il teatro dei corpi. Le Pitture Colorate d’Anatomia di Girolamo Fabrici d’Acquapendente (Biblioteca Nazionale Marciana 2004) (2) ed è proprio visitando quella mostra che l’anatomico Alessandro Riva (3) nell’esaminare la tavola 112-10 vi riconosce la presenza inequivocabile della cosiddetta Scissura di Silvio.
Il rilievo è importante: se confermato, la storia della scoperta della scissura laterale deve essere riscritta.
Il professor Riva chiede conferma della propria osservazione a Massimo Collice, illustre neurochirurgo ed amico, il quale entusiasticamente si mette in caccia dei testi indispensabili per ricostruire la vicenda attributiva della scoperta del solco laterale.
Vale la pena di ripercorrerne la storia… La corteccia cerebrale comincia a essere descritta e rappresentata in maniera aderente alla realtà solo nel diciassettesimo secolo; anche il grande Vesalio nel suo De humani corporis fabrica (1543) 7 non dedica grande attenzione alla corteccia e identifica solo il corpo calloso senza tuttavia dargli un nome. Lo studioso ritiene che la grande estensione delle caotiche circonvoluzioni, consentendo ai vasi di penetrarvi in profondità, serva solo a meglio nutrire il cervello e anche le bellissime tavole della Fabrica ci mostrano un encefalo in cui i giri sono ancora disegnati in maniera del tutto casuale, senza alcuno “schema” riconoscibile.
Bisogna attendere la metà del 1600 perché la corteccia cominci ad essere realmente “vista”, cosa che comporta, inevitabilmente, l’osservazione della presenza costante di quel solco laterale che sarà poi conosciuto come Scissura silviana, dal nome di colui che è sempre stato ritenuto il suo scopritore. La scissura laterale è stata descritta per la prima volta nelle Institutiones anatomicae di Caspar Bartholin (1585-1629) pubblicate nel 1641 dal figlio Thoma (1616-1680): in esse la scoperta è attribuita a Franciscus Sylvius.(4)
Questa attribuzione tuttavia, non può essere stata formulata da Caspar perché egli muore nel 1629 mentre Silvio comincia gli studi nel 1632 per terminarli nel 1637.
È verosimile piuttosto, che questo passo sia stato scritto non da Caspar ma dal suo figlio ed editore Thoma. Il sottotitolo delle Institutiones Anatomicae autorizza questa interpretazione; esso infatti recita così: …alle quali (Institutiones) il figlio dell’autore ha aggiunto nuove teorie ed osservazioni di successivi studiosi molte delle quali non sono state pubblicate fino ad oggi come pure alcune illustrazioni.
E inoltre, è Thoma che, nella prefazione del 1640 alle Institutiones Anatomicae parla di Silvio: …dalla meravigliosa e nuova struttura del cervello tutti possiamo misurare la nobiltà del cervello (= quello scoperto da Silvio) ed il talento del cervello di quest’uomo ( = di Silvio). E più sotto: …nelle nuove immagini del cervello l’incisore ha seguito il disegno ed il bisturi dell’accuratissimo Franciscus Sylvius al quale dobbiamo, in questa parte, tutto ciò che il cervello ha di più (= di particolareggiato) o di più bello.
Infine, Thoma era stato non solo allievo di Silvio quando questi insegnava a Leyda all’inizio del 1638, ma aveva anche studiato a Padova e come lui, suo padre Caspar.
Thoma stesso dichiara di possedere alcune tavole in rame di Fabrici ed è verosimile che le Tabulae fossero conosciute e circolassero tra i numerosi studiosi che da tutta l’Europa andavano ad imparare l’arte medica dal grande maestro patavino. Quello che è certo è che Silvio descrive accuratamente il solco laterale solamente nel 1663 nel suo Disputationes Medicarum mentre non lo descrive e neppure lo menziona nella sua tesi del 1637.(5),(6)
La figura 1 riproduce l’incisione eseguita da J. Voort Kamp per le Institutiones Anatomicae di Caspar Bartholin del 1641: è sempre stata considerata la prima raffigurazione della scissura laterale. La figura 2 riproduce la Tabula Picta 112.10 realizzata nel 1600: anche in essa la scissura laterale è chiaramente raffigurata.
La prima rappresentazione della Scissura laterale deve essere quindi retrodatata di almeno 40 anni ed è a Fabrizio che va il merito di aver saputo vederla per primo.
(1). Sterzi G., Le tabulae anatomiche ed i codici marciani con note autografe di Hieronimus Fabricius ab Acquapendente, Anat Anzeiger, 35, 1909: 338-348.
(2). Rippa Bonati M., Pardo-Tomàs J., Il teatro dei corpi. Le pitture colorate di Anatomia di Girolamo Fabrici d’Acquapendente, Milano, Mediamed Edizioni Scientifiche S.R.L., 2004.
(3). Riva A., Priorità anatomoche nelle tabulae pictae. Theatrum totius animalis fabricae di Fabrici, in: Rippa Bonati M., Pardo-Tomàs J: Il teatro dei corpi. Le pitture colorate di Anatomia di Girolamo Fabrici d’Acquapendente, Milano, Mediamed Edizioni Scientifiche S.R.L., 2004.
(4). Bartholin C., Casp. Bartholin Institutiones Anatomicae. Novi recentiorumque opinionibus & observationibus, quarum innumerae hactenus editae non sunt, figirisque secundo auctae ab auctoris filio Thoma Bartholino, Lug. Batavorum, apud Franciscum Hackium, 1641.
(5). Sylvius F., Disputatio medica de animali motu, ejusque Laesionibus, Basileae, Typis G Deckeri, 1637
(6). Sylvius F., Disputationes medicarum pars prima, primarias corporis humani funciones naturales ex anatomicis, practicis et Chymicis experimentis deductas complectens, Amstelodami, J van den Bergh, 1663.
Bibliografia
Bartholin C., Casp. Bartholin Institutiones Anatomicae. Novi recentiorumque opinionibus & observationibus, quarum innumerae hactenus editae non sunt, figirisque secundo auctae ab auctoris filio Thoma Bartholino, Lug. Batavorum, apud Franciscum Hackium, 1641.
Rippa Bonati M., Pardo-Tomàs J., Il teatro dei corpi. Le pitture colorate di Anatomia di Girolamo Fabrici d’Acquapendente, Milano, Mediamed Edizioni Scientifiche S.R.L., 2004.
Riva A., Priorità anatomoche nelle tabulae pictae. Theatrum totius animalis fabricae di Fabrici, in: Rippa Bonati M., Pardo-Tomàs J: Il teatro dei corpi. Le pitture colorate di Anatomia di Girolamo Fabrici d’Acquapendente, Milano, Mediamed Edizioni Scientifiche S.R.L., 2004.
Sterzi G., Le tabulae anatomiche ed i codici marciani con note autografe di Hieronimus Fabricius ab Acquapendente, Anat Anzeiger, 35, 1909: 338-348.
Sylvius F., Disputatio medica de animali motu, ejusque Laesionibus, Basileae, Typis G Deckeri, 1637.
Sylvius F., Disputationes medicarum pars prima, primarias corporis humani funciones naturales ex anatomicis, practicis et Chymicis experimentis deductas complectens, Amstelodami, J van den Bergh, 1663.
Vesalius A., De humani corporis fabrica libri septem. Basileae, Ex off. Ioannis Oporini, 1543.
Cerebri Vasa: storia ed evoluzione delle conoscenze sulla circolazione cerebrale (*)
Vittorio Alessandro Sironi
Nell’ambito della cultura greca Pitagora (570-495 a.C.) fu tra i primi a comprendere l’importanza del cervello come sede del pensiero e delle sensazioni, mentre Anassagora (496-428 a.C.) intravide l’esistenza di una relazione tra nervi periferici e cervello, sede quest’ultimo delle sensazioni, del pensiero e dell’anima.
In realtà il primo ad aver realmente intuito le relazioni esistenti tra cervello e mente, identificando l’encefalo come sede primaria della comprensione e come organo essenziale per la percezione delle sensazioni e per l’elaborazione del pensiero, era stato il filosofo e medico Alcmeone di Crotone, vissuto nel VI secolo a. C. in Calabria, allora territorio di quella parte meridionale della nostra penisola nota come Magna Grecia.
Pur non avendo mai praticato dissezioni di cadaveri umani, attraverso un’accurata osservazione clinica, tipica del suo metodo, Ippocrate (ca. 460-377 a.C.) riuscì anch’egli a cogliere in pieno la centralità dell’encefalo, identificando e descrivendo diverse funzioni cerebrali. A questa visione cerebrocentrica si contrapponeva una visione cardiocentrica che ebbe in Aristotele (384-322 a.C.) il massimo rappresentante. Nella sua concezione il cuore era l’organo a cui ricondurre la produzione del calore animale, i movimenti, la nutrizione, la percezione, la sensazione e gli stessi processi del pensiero. Al cuore, considerata la parte più calda del corpo, egli contrapponeva il cervello, la parte più fredda dell’organismo. Con la sua dottrina Aristotele non solo rifiutò le affermazioni degli scritti ippocratici, ma si oppose anche al cerebrocentrismo di Platone (429-437 a.C.), il quale, con la tripartizione dell’anima illustrata nel Timeo, aveva collocato la sfera d’azione dell’anima razionale nella testa (mentre aveva confinato l’anima appetitiva tra diaframma e ombelico e l’anima irascibile tra collo e diaframma).
Galeno (ca. 129-200), il massimo anatomico e fisiologo dell’antichità, confutò la dottrina aristotelica basandosi su una grande quantità di osservazioni anatomiche, fisiologiche e cliniche. Egli si richiamò esplicitamente agli studi ippocratici e a Platone accentuando il suo cerebrocentrismo. Per Galeno il cervello era “il principe dei visceri”, avendo constatato che la sua compressione privava immediatamente l’animale di qualsiasi movimento e di ogni sentimento, anche se il cuore continuava a battere, mentre viceversa gli animali sacrificati ai quali veniva strappato il cuore continuava ancora per alcuni secondi ad agitarsi e a emettere suoni. Aveva anche descritto la presenza di cavità dentro l’encefalo, non ignorava l’esistenza dei due emisferi cerebrali ed era consapevole dei problemi posti dal loro coordinamento. Egli localizzò dunque l’anima razionale nelle masse cerebrali, mentre collocò la sede delle passioni nella viscere.
Pur essendo già gli antichi a conoscenza del fatto che il cervello avesse necessità di un adeguato apporto di sangue per il suo buon funzionamento fu proprio Galeno il primo ad affrontare in maniera sistematica il problema della vascolarizzazione cerebrale. Secondo le sue osservazioni (acquisite mediante la dissezione di cervelli animali e poi trasferite per analogia all’uomo) l’arteria carotide ai lati della sella turcica si divideva in numerose diramazioni e queste poi andavano a ricongiungersi, come le radici di un albero, in un tronco comune. L’intreccio di queste piccole arterie formava la cosiddetta “rete mirabile”, una struttura fondamentale per spiegare il funzionamento dell’intero organismo umano. Nella sua concezione pneumatica dei tre “spiriti” (spirito naturale, spirito vitale e spirito animale) egli sviluppò l’idea che lo “spirito vitale” si trasformasse in “spirito animale” nella rete mirabile e nei plessi corioidei cerebrali.
La fede nell’esistenza a livello cerebrale della rete mirabile dominò incontrastata per oltre un millennio. Ancora nel XIV secolo Mondino dÈ Liuzzi (ca. 1270-1326), fra i primi ad aver ripreso la disseziona anatomica su cadaveri umani, ne affermava categoricamente l’esistenza. Il primo a dubitarne, agli inizi del XVI secolo, fu Berengario da Carpi (1460-1530). Nella sua opera Isagogae breves (1522) aveva incluso due incisioni nelle quali in modo abbastanza preciso erano rappresentati i due emisferi cerebrali con i rispettivi ventricoli, anticipando – sia pure in modo non così preciso – gli studi anatomici relativi alla struttura cerebrale di Andrea Vesalio (1514-1564) che, con la pubblicazione a Basilea nel 1543 dei sette libri a stampa dell’opera De humanis corporis fabbrica, redigeva il primo testo “moderno” di anatomia, corredato di illustrazioni, frutto di accurate osservazioni autoptiche, abilmente eseguite da un allievo della scuola di Tiziano.
La rivoluzione anatomica introdotta del docente dello studium di Padova portava alla critica dissacrante delle teorie antiche, in particolare confutava con certezza – sulla scorta di dati morfologici e sperimentali – la medioevale e dominante dottrina della localizzazione nelle “celle” cerebrali (tre o talvolta anche quattro o cinque cavità lungo la linea mediana, dall’avanti all’indietro, ciascuna sede della sua specifica qualità) delle facoltà mentali. Anche se, pur avendo perfezionato la conoscenza dell’esatta struttura anatomica (forma) del cervello, gli sfuggiva ancora la comprensione del suo funzionamento (funzione).
Chi tentò, nel secolo successivo, di dare una risposta a questo problema fu il filosofo francese Renato Cartesio (1596-1650). Egli concepiva il cervello come un automa meccanico azionato da un’anima immateriale, che aveva sede in un’unica parte solida del cervello, la ghiandola pineale, collocata al crocevia del sistema ventricolare, posta in posizione mediana al centro dell’encefalo. Questa concezione gli permetteva di sostituire facilmente la dottrina delle localizzazioni ventricolari delle diverse facoltà con una teoria in cui queste derivavano dall’azione dell’anima indivisa su un unico organo (la ghiandola pineale appunto), in grado di recepire e di ritrasmettere meccanicamente flussi di spiriti animali, poi ulteriormente ritrasmessi dalla disposizione meccanica dei diversi congegni costituenti la macchina umana.
Così come Cartesio aveva cercato, indagando le funzioni cerebrali attraverso il metodo meccanico, di superare la statica descrizione dell’anatomia encefalica, anche Thomas Willis (1621-1675), attraverso le sue indagini dinamiche sul cervello, si mise nella prospettiva di emulare quelle funzionali di William Harvey (1578-1657) sul cuore. Quest’ultimo aveva scoperto e descritto la circolazione sanguigna attribuendo una nuova funzione fisica (meccanica) al cuore. Willis intendeva invece fornire una teoria della circolazione degli spiriti animali attribuendo una funzione chimica (dinamica) al cervello, sia nell’elaborazione degli spiriti che nella loro trasmissione. Nella sua concezione il sangue che irrora la base del cervello (scorrendo attraverso arterie che formano un circolo anastomotico da lui così ben descritto che ancora oggi è conosciuto come “poligono di Willis”, eponimo attribuitogli poi da Albert von Haller) subisce un processo di distillazione e spiritualizzazione nella sostanza grigia del cervello e del cervelletto, entrambi paragonati ad alambicchi, divenendo così spirito animale e percorrendo poi i nervi con moti alternati di flusso e riflusso dall’encefalo alla periferia e viceversa.
Anch’egli abbandonò la teoria ventricolare delle facoltà assegnando la realizzazione di funzioni specifiche non a una, ma a più strutture. Associò il sensorio comune e i moti volontari al corpo striato, l’immaginazione al corpo calloso, la memoria alla corteccia cerebrale, il comportamento istintivo alla parte centrale del cervello (mesencefalo) e i moti involontari (la regolazione delle funzioni vitali) al cervelletto e al nervo intercostale (catena del simpatico).
Il contributo principale di Thomas Willis, come appare chiaramente dalle tavole del suo libro Cerebri Anatome (Londra,1664), è proprio la puntualizzazione sulla funzionale del sistema circolatorio alla base dell’encefalo, anche se il primo disegno di questo circolo anatomico si deve in realtà a Giulio Casserio (circa 1552–1616), che lo riportò nelle Tabulae Anatomicae (Venezia, 1627).
La prima descrizione delle anastomosi tra arterie carotidi e vertebrali è invece di Johann Jacob Wepfer (1620–1695) nel suo trattato Observationes anatomicae ex cadaveribus eorum, quos sustulit apoplexia (Sciaffusa, 1658) – sei anni prima della schematizzazione di Willis – , testo in cui egli descrive con assoluta precisione il decorso della carotide attraverso la base cranica. Sempre suo è anche il merito di aver fornito la prova inconfutabile della non esistenza della rete mirabile nell’uomo. All’olandese Jacob B. Winslow (1669–1760) si deve la descrizione e l’uso del termine “seno cavernoso”, introdotto nel suo libro Exposition anatomique de la structure du corps human (Parigi,1732) nell’ambito dell’elenco di tutti i seni venosi della dura madre. Egli puntualizza anche come al suo interno vi decorrono i nervi cranici dal terzo al sesto. La descrizione dell’esatta anatomia e del preciso funzionamento della circolazione cerebrale costituì una delle basi che permisero di comprendere meglio la struttura, le funzioni e le condizioni patologiche del cervello.
Tuttavia si sarebbe dovuto attendere il XX secolo perché i vasi della circolazione sanguigna cerebrale potessero essere osservati e indagati non solo durante la dissezione anatomica post-mortem, ma anche visti ed esplorati in vivo prima di un intervento neurochirurgico. Solo nel 1927 il neurologo portoghese Antonio Egas Moniz (1874–1955), in collaborazione con il neurochirurgo Almeida Lima (1903–1985), mise a punto la tecnica dell’angiografia cerebrale, che permetteva – mediante l’introduzione in carotide di un mezzo di contrasto iodato – di visualizzare l’intero albero vascolare intracerebrale. Si apriva così un nuovo affascinante campo di conoscenza neuroradiologica e nascevano ulteriori grandi possibilità terapeutiche in ambito neurochirurgico.
Nota (*) In occasione del XLIX Congresso della Società Italiana di Neurochirurgia svoltosi a Milano nel 2000 Massimo Collice (1945-2009) raccolse in volume dal significativo titolo Sulle spalle dei giganti. Da Galeno a Winslow sul seno cavernoso e sul circolo anastomotico della base alcune pagine tratte dalle opere degli autori che hanno segnato i primi passi del lungo percorso che ha portato alle attuali conoscenze relative alla circolazione sanguigna del cervello: dalla descrizione del passaggio dell’arteria carotide nel cranio al circolo anastomotico vascolare alla base del cervello. Si tratta di un significativo contributo storico allo studio di questo capitolo delle neuroscienze che il neurochirurgo milanese ha realizzato grazie a un paziente lavoro di ricerca sistematica delle fonti e che ha fornito il punto di partenza delle informazioni riportate in questo saggio.
Bibliografia
De Bernardi A., Sala E., D’Aliberti G., Franchini A. F., Collice M., Alcmeon of Croton, Neurosurgery, 66, 2010, pp. 247-252.
Clifford Rose F., Bynum W. F., Historical Aspects of the Neurosciences, New York, Raven Press, 1982.
Collice M., Sulle spalle dei giganti. Da Galeno a Winslow sul seno cavernoso e sul circolo anastomotico della base, Milano, Divisione di Neurochirurgia. Ospedale Niguarda Ca’ Granda, 2000.
Meyer A., Historical aspects of cerebral anatomy, Oxford, Oxford University Press, 1971.
Sironi V. A. (a cura di), La scoperta del cervello. Per una storia delle neuroscienze, Bari, B. A. Graphis, 2009.
La grande bellezza della scienza
Laura Bossi
Platone associava il vero, il bello e il buono in una triade indissolubile. Se i moderni hanno rigorosamente separato i campi della scienza, dell’estetica, dell’etica, è pur vero che non c’è scienza senza etica, perlomeno quando la scienza è ispirata dell’amore della verità e non dal desiderio prometeo di controllare il mondo; e la scienza è legata a un’estetica, in quanto ci mette in relazione con la splendida armonia delle leggi naturali e con la bellezza delle forme viventi.
É noto che i matematici trovano nella loro disciplina una “bellezza fredda e austera, come quella della scultura”, come diceva Bertrand Russell, e la metafora dell’universo come “libro della natura” scritto in “lingua matematica” é corrente fin dal tempo di Galileo. Quando eravamo studentesse di Medicina, Rosa (che ancora non era sposata con Massimo Collice) ed io abbiamo seguito per qualche tempo i corsi della facoltà di matematica, per amore appunto dell’eleganza e della perfezione di quel linguaggio…
Ma anche lo studio dell’anatomia è stato a lungo associato alla meraviglia ispirata dall’organizzazione dei corpi viventi; le illustrazioni o i modelli scientifici riunivano la bellezza alla precisione utile alla scienza e alla didattica, e le scuole mediche e artistiche italiane ebbero un ruolo di primo piano nell’avanzamento delle conoscenze come nel perfezionamento delle rappresentazioni.
Già l’Anathomia Designata per Figures di Guido da Vigevano, del 1345, conteneva 24 tavole a colori, purtroppo in gran parte perdute; le sei rimaste illustrano il sistema nervoso, in modo assai stilizzato, quasi schematico, ma di grande eleganza; una delle tavole è probabilmente la prima rappresentazione delle circonvoluzioni cerebrali.
La prima edizione in latino del Fasciculus medicinae di Johannes de Ketham (Venezia 1491), una raccolta di trattati risalenti ai due secoli precedenti, è il primo libro stampato contenente delle illustrazioni anatomiche, xilografie di stile ancora medievale; ma già la seconda edizione in lingua italiana è illustrata da tavole più realistiche e raffinate, probabilmente opera di un artista della scuola di Giovanni Bellini. Più conosciute, le immagini dei grandi atlanti anatomici rinascimentali e barocchi di Vesalio (1543), Charles Estienne (1545), o Govard Bidloo (1685, celebre soprattutto per le straordinarie incisioni di Gérard de Lairesse, detto “il Poussin olandese”) mostrano i preparati anatomici in attitudini allegoriche (come la malinconia) o drammatiche, nello stile dei grandi artisti dell’epoca. Paule Dumaître scrive di Laraisse: “Disegna esattamente quel che ha davanti agli occhi, ma qualche cosa della sua arte, suo malgrado, rocopre di un velo l’atroce realtà, rodona un’anima a ciò che non ha più anima.”(1)
Le tabulae pictae di Fabrizio d’Acquapendente (1533-1619), conservate alla Biblioteca Marciana, dipinte a olio su carta in collaborazione con vari artisti non identificati, a lungo credute perdute e ritrovate solo nel 1909, rappresentano i preparati anatomici in grandezza naturale e nei colori naturali; il grande anatomico di Padova, che fu all’origine del peculiare teatro anatomico di Palazzo del Bo, costruito secondo la forma del globo oculare, presenta per la prima volta la splendida bellezza dell’anatomia in se stessa, senza alcuna messa in scena drammatica e senza ornamenti.(2) L’anatomista Giuseppe Sterzi, che fu all’origine della riscoperta delle tavole,(3) le riteneva il più importante lavoro anatomico del 16° e 17° secolo (si vedano le riproduzioni di alcune tavole, nel presente volume). Il Syntagma Anatomicum di Johannes Vesling (1647), anatomista tedesco che insegnò a Venezia e a Padova, fu probabilmente il trattato di anatomia più diffuso in Europa nel periodo 1650-1750. Le 24 incisioni su rame dell’edizione in quarto sono le prime a non essere ispirate da Vesalio, e il frontispizio mostra il teatro anatomico di Padova voluto da Fabricius.
Bartholomeo Eustachi, o Eustachius (1500/1514-1575), professore di anatomia a Roma, fu il primo a utilizzare l’incisione su rame, che permette maggiore precisione nei dettagli, per 47 eleganti tavole anatomiche realizzate dall’incisore Giuseppe dÈ Musi, realizzate nel 1552, ma pubblicate solo nel 1714, e poi ripubblicate da Albinus nel 1744. Le tavole 17 e 18, dedicate al cervello e al sistema nervoso, sono le più precise e veridiche dell’epoca. Se queste tavole non fossero state cosi a lungo celate, Eustachius sarebbe senz’altro stato considerato il fondatore dell’anatomia, con Andrea Vesalio.(4) Le figure anatomiche sono rappresentate viventi, come da Vesalio, ma in pose realistiche e non teatrali. Tre anni dopo, Albinus pubblicava il suo celebre atlante, fondato sul lavoro di Eustachius; le magnifiche illustrazioni dell’Albinus infuenzarono notevolmente le scuole italiane di Ercole Lelli a Bologna e Paolo Mascagni e Felice Fontana a Firenze, che svilupparono e portarono alla perfezione la tecnica della ceroplastica.
Le splendide cere anatomiche della Specola di Firenze(5) sono un esempio del senso della bellezza che ispirava la sala di dissezione alla fine del diciottesimo secolo. Felice Fontana, il direttore del Museo, esigeva che “i lavori fossero perfetti”, e privi di ogni difetto. Le opere di ceroplastica di Zumbo, Lelli, Manzolini, Morandi, Susini sono oggi considerate come una sintesi ammirevole di arte e scienza. Ma anche da un punto di vista semplicemente didattico, l’emozione suscitata dalla bellezza dei modelli favorisce senza dubbio l’apprendimento, come sapevano già gli antichi che hanno elaborato un’«arte della memoria» fondata su immagini vivide e che suscitano emozione, e come confermano le moderne neuroscienze.
La tecnica italiana della ceroplastica si diffuse ad altre scuole mediche dapprima a Vienna (dove una collezione di cere fiorentine è conservata nello Josephinum), poi in altri paesi d’Europa continentale e in Inghilterra, ma anche in Russia, America, e Giappone.(6) Nel diciannovesimo secolo la tecnica viene sempre meno utilizzata, ma alcuni preparati soprattutto dermatologici saranno prodotti fino alla fine del ventesimo secolo, senza tuttavia eguagliare lo splendore delle opere settecentesche.
Le tecniche di stampa e l’edizione evolvono. Jacques Fabien Gautier d’Agoty (1716-1785), allievo del pittore e incisore Jacob Christph le Blon, in Francia, perfeziona la tecnica del maestro e inventa la stampa in quadricromia.(7)
Il suo trattato Myologie complète en couleur et grandeur naturelle (1746) e la sua Anatomie de la tête (1748) saranno ammirati dai surrealisti, che ne apprezzeranno la “bellezza convulsiva”.(8) Alla fine del diciottesimo secolo, nelle illustrazioni anatomiche si impone uno stile minuzioso e scrupolosamene dettagliato, ispirato da una rigorosa ricerca della verità, esemplificato da William Hunter (professore di anatomia alla Scuola di medicina e alla Royal Academy of Arts di Londra), che nel suo atlante ostetrico spinge l’esigenza di verosimiglianza fino alla riproduzione in grandezza naturale.
A proposito dell’importanza delle tavole anatomiche per lo studio dell’anatomia, il libro di John Bell (fratello del più celebre Charles), Anatomy of the Bones, Muscles and Joints (1794), contiene alcune riflessioni interessanti. Nell’introduzione, Bell critica i testi privi di immagini, come quelli di Monro o di Haller, e afferma che un libro di anatomia senza tavole ““non è meglio di un libro di geografia senza carte geografiche”. Soprattutto, “un anatomista dovrebbe evitare di rendere astratto un soggetto che appartiene primariamente ai sensi.”(9) Tuttavia Bell sottolinea l’esistenza di “una lotta continua tra l’anatomista e il pittore, in cui l’uno aspira all’eleganza, l’altro insiste sull’accuratezza delle forme”. Identifica anche il dilemma tra la rappresentazione del particolare e del tipico (che tenta di mostrare in una sola immagine ciò che è possibile osservare solo in più esemplari); i due estremi sono rappresentati da Bidloo, in cui prevale la mano dell’artista, e da Albinus, le cui tavole paiono “statue anatomizzate”.
Il monumentale trattato di anatomia di Jean-Baptiste Marc Bourgery,(10) un in-folio in sedici tomi, otto volumi di testo e otto volumi con 725 tavole di Nicolas Henri Jacob, allievo di David, è probabilmente il più bello della prima metà dell’Ottocento. La prima edizione utilizza la tecnica allora recente della litografia in bianco e nero.(119 Gli esemplari colorati a mano da Elisa Mantua, venduti a un prezzo più elevato, sono notevoli per lo splendore dei colori. Le tavole rappresentano un tipo umano ideale, dotato delle “proporzioni più felici”, in grandezza naturale, o ridotto alla metà. Nell’introduzione, Bourgery insiste sull’importanza dell’artista, e dichiara che l’opera “risulta dagli sforzi combinati di ciascuno di noi”, per cui Jacob non deve essere considerato come un “ausiliario”, ma come un collaboratore, un vero e proprio co-autore.
A partire della seconda metà dell’Ottocento prevale la tendenza anglosassone e “democratica” verso immagini il più possibile obiettive, semplici, e che si vorrebbero prive di uno stile identificabile. Si sviluppa inoltre la tecnica della litografia, che permette la diffusione di libri illustrati a prezzi abbordabili. Tali tendenze sono esemplificate dal celebre trattato di Henry Gray, Anatomy. Descriptive and Surgical (1858), uno dei più popolari di tutti i tempi, e che ebbe numerosissime ristampe e riedizioni fino ai nostri giorni. Le illustrazioni di Henry Vandyke Carter sono semplici litografie in bianco e nero, disegni schematici e modesti, senza ombre, senza disposizione particolare su uno sfondo. Certo non hanno la bellezza delle tavole anatomiche precedenti, ma il loro funzionalismo estremo, coerente con lo Zeitgeist della scienza istituzionalizzata dell’epoca, ha indubbiamente uno stile proprio.
La litografia permetterà tuttavia anche la diffusione e la volgarizzazione di pubblicazioni di zoologia e di botanica con splendide illustrazioni a colori, pensiamo per esempio alle magnifiche tavole di biologia marina di Ernst Haeckel, Die Radiolarien, e soprattutto Kunstformen der Natur (1899-1904) da cui è tratto il logo in forma di stella marina della fondazione Collice.
La storia delle tavole anatomiche mostra come per lungo tempo il mondo visibile, gli organismi viventi, l’anatomia umana erano percepiti dall’occhio dell’artista come da quelli dello scienziato, e descritti da entrambi, con un risultato la cui bellezza risultava dall’arte come dalla conoscenza. “Docere et delectare”, diceva l’Arte poetica di Orazio.
Oggi si sarebbe tentati di pensare che la conoscenza e l’arte hanno preso irrimediabilmente cammini divergenti. (12) A che cosa può servire una cera di Susini, una tavola anatomica di Fabricius o di Gautier d’Agoty, quando disponiamo ormai di tecniche di “imaging” sofisticatissime, che utilizzano i raggi X, gli ultrasuoni, la risonanza magnetica, gli isotopi radioattivi, e che propongono una garanzia di oggettività ben superiore a quella delle immagini fatte dalla mano dell’uomo? La scienza sembra persino credere che progredirà tanto più quanto meno si caricherà del peso della storia, del passato, dei documenti ormai superati del proprio patrimonio. Mentre oggi i musei delle Arti fanno l’esperienza di un’affluenza senza precedenti – 9 milioni di visitatori l’anno per il Louvre a Parigi – molti musei delle scienze sembrano essere in decadenza, e la scarsità dei finanziamenti e dell’interesse conducono alla negligenza, a volte persino alla distruzione delle collezioni. L’arte dal canto suo si è rifugiata nella soggettività, nell’espressione di un’ipertrofia dell’ego che caratterizzerebbe il ““genio creatore” dell’artista.
Scienza e arte, conoscenza e bellezza possono tuttavia essere alleate.
Nel suo articolo sulla scoperta della scissura di Silvio,(13) scritto con Rosa e con Alessandro Riva e commentato da Rosa in questo volume, Massimo Collice non si limita a ristabilire un fatto storico, la precedenza cronologica di Fabrizio d’Acquapendente, che quarant’anni prima di Silvio illustra perfettamente la fissura laterale dell’encefalo e le circonvoluzioni temporali in una delle trecento belissime Tabulae pictae riscoperte nel 1909 da Giuseppe Sterzi. Sottolinea il grande valore artistico delle tavole, e soprattutto evoca due punti cruciali per gli scienziati come per gli artisti e i pedagoghi. Da un lato l’importanza del disegno di osservazione per la comprensione del mondo, che Goethe riassumeva nella celebre frase: “Quel che non ho disegnato, non l’ho visto.” L’occhio da solo infatti non può che registrare le impressioni, lo sforzo di discriminazione, che è uno sforzo dell’intelletto, é la matita, è la mano che lo guida. Dall’altro la difficoltà a vedere quel che non si conosce, quello che non rientra nelle teorie che abbiamo stabilite.
Nel suo libro Sulle spalle dei giganti (14) Massimo Collice ha voluto ricostruire la storia dell’anatomia del seno cavernoso. Massimo si dedicava ad una delle più difficili specialità della neurochirurgia, la chirurgia vascolare; il suo interesse per quel singolare plesso venoso attraversato da un vaso arterioso pulsante (un tratto della carotide) è quindi naturale, ma é certamente stato suscitato anche dal compiacimento davanti alla bellezza delle opere di Lanfranco da Milano (circa 1250-1310), uno dei fondatori della scuola parigina di chirurgia.
La metafora scelta come titolo del libro è significativa: esprime la dipendenza della nostra cultura moderna dalla cultura antica, e si incontra per la prima volta nel Metalogicon (III, 4) di Giovanni di Salisbury (1159 ca.), che ne attribuisce la paternità al suo maestro Bernardo di Chartres, “il più perfetto fra i platonici”: «dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantium humeris insidentes»; possiamo, cioè, vedere più lontano non per l’acutezza della nostra vista o perchè più alti di corporatura, ma perché siamo sollevati e innalzati da gigantesca grandezza. La citazione fu ripetuta spesso fino a Isaac Newton («Se sono riuscito a vedere più in là, è perché l’ho fatto seduto sulle spalle dei giganti che mi hanno preceduto», 1675) e alla Querelle des anciens et des modernes (Fontenelle, 1688) , sempre per evocare il debito dei moderni verso gli antichi, e per ricordare come la cultura sia una costruzione continua e collettiva.
É significativo anche il testo del medico e neuroanatomista inglese Thomas Willis (tratto dalla prefazione del suo De Cerebri anatome, 1664), che Massimo Collice ha scelto come conclusione:
“Mi era stato richiesto dalla branca scientifica di mia competenza in seno a questo ateneo di fornire un’esposizione delle funzioni dei sensi, sia esterni che interni, delle facoltà e disposizioni dell’anima, nonchè degli organi preposti a ciò e del loro complesso apparato; avrei dovuto elaborare a questo proposito alcune sintesi concettuali ed ipotesi interpretative che non fossero in contrasto con i fenomeni: esse (come piace che avvenga in questo tipo di attività) dovevano finalmente accrescere le conoscenze complessive della materia (ed organizzarle) in qualche sistema. Dunque, una volta placatosi l’entusiasmo per ciò che andavo ricercando e componendo, quando finalmente intrapresi una revisione di ogni cosa e mi indussi a più severe verifiche, mi parve di aver agito come una sorta di pittore, che aveva tracciato il profilo di una testa umana non attenendosi a un modello, ma stando all’arbitrio di un audace pennello, seguendo non ciò che era più vero, ma ciò che era più adeguato alla dimostrazione e riproducendo quel che desiderava, più che quel che conosceva. Intento in questo severo ripensamento, fu come se mi accadesse di riscuotermi dopo un sonno profondo. Era un triste risveglio: certo mi vergognai di aver esercitato l’attività di studioso in modo cosi precario e che uno studio della natura poetico, per cosi dire, avesse ingannato, con le lusinghe della novità e delle congetture disposte con elegante maestria, il mio pubblico e me stesso, e che ad entrambi avesse gettato fumo negli occhi, quasi servendosi di illusioni e trucchi da ciarlatano.
Pertanto, bandito ogni indugio, maturo la seria decisione di intraprendere senz’altro una via diversa, e mi dedico a quest’unico impegno: basarmi in futuro, non su principi elaborati da altri, non su supposizioni o desideri della mia mente, ma su quell’affidabilità che può offrire lo studio autoptico della Natura. Subito, quindi, mi dedico totalmente allo studio dell’anatomia: volendo indagare soprattutto le funzioni e i compiti del cervello e della sua appendice nervosa, passo anzitutto alla dissezione accurata di teste di svariate specie e all’osservazione quanto più possibile attenta e meticolosa di ciò che vi è contenuto affinché, una volta esaminati con esattezza l’aspetto, la posizione e l’estensione dell’insieme e delle parti singole, e delle loro configurazioni rispetto ad altri organi, scaturisca finalmente un barlume di verità circa il funzionamento, i difetti e le anomalie di quell’armonica struttura che è l’organismo vivente.”
Willis sottolinea assai bene, mi pare, l’oscillazione tra l’impulso “poetico” (l’entusiasmo, l’analogia con “l’audace pennello” del pittore…), e l’esigenza di una ricerca accurata, attenta e meticolosa di quel “barlume di verità” che è alla portata dello scienziato. E sebbene il grande anatomista si sottoponga ad una severa autocritica, quasi accusandosi di “illusioni e trucchi di ciarlatano”, nondimeno l’entusiasmo e l’impulso creativo sono citati, e in qualche modo certamente hanno contribuito alla realizzazione dello studio minuzioso successivo…
Massimo aveva due passioni: la bellezza e la neurochirurgia. Amava circondarsi di cose belle, anzi gli erano necessarie. Ricordo qui un aneddoto: da quando lasciò la sua bellissima casa in Corso Venezia per trasferirsi in Via Canova, ogni giorno doveva percorrere un lungo tragitto in macchina per arrivare a Niguarda, attraversando alcune tra più ingrate zone di Milano. Vedere la bruttezza nella sua città di adozione gli era penoso.
Lo consolava solo la prospettiva di ritrovare la neurochirurgia, il suo reparto.
Il suo interesse per la bibliofilia e per la storia della medicina riuniva queste sue due passioni. La sua collezione di libri di medicina, ora donata da Rosa alla Scuola Grande di San Marco, non riflette solamente un interesse tecnico e professionale, ma comprende anche opere scelte per la loro bellezza. Massimo collezionava anche le carte geografiche antiche, soprattutto della sua regione di origine, il magnifico altipiano della Sila in Calabria, dove si trovava la tenuta familiare, ma anche della Sicilia, e di Pantelleria, isola dall’ambiente naturale preservato in cui aveva trovato un rifugio e in cui amava passare le vacanze in famiglia.
Non a caso il ritratto di Massimo dipinto dal suo amico pittore Aldo Damioli lo ritrae sullo sfondo di una scaffalatura di libri. Ogni sera Massimo studiava, fino a tarda ora, non limitandosi ai lavori scientifici necessari alla sua professione di neurochirurgo e alle sue numerose pubblicazioni scientifiche, ma approfondendo la storia della neuroanatomia.
Liberato dalla responsabilità della direzione del reparto di neurochirurgia, Massimo avrebbe voluto dedicarsi alla storia dell’aracnoide, quella delicata membrana meningea che avvolge il sistema nervoso come una tela di ragno, tra la “pia madre” che ricopre il cervello e il midollo spinale come una pellicola aderente, e la “dura madre”, membrana robusta e fibrosa (“dura” significa forte) che aderisce alle superfici interne delle ossa craniche. Forse Rosa, o qualcuno dei suoi affezionati allievi e collaboratori potrà riprendere questo suo progetto, e dedicarglielo.
(1). Dumaître, Paule. La Curieuse Destinée des planches anatomiques de Gerard de Lairesse, peintre en Hollande. Amsterdam, Rodopi, 1982.
(2). Kemp M., Il mio bell’ingegno. L’Anatomia visiva. In: Rippa Bonati M., PardoTomàs J., Il teatro dei corpi, le pitture colorate di anatomia di Fabrici d’Acquapendente, Milano, Mediamed Edizioni Scientifiche, 2004. pp. 83–107; Ongaro G., Fabrici: dai manoscritti alla stampa. In: Rippa Bonati M., PardoTomàs J., Il teatro dei corpi, le pitture colorate di anatomia di Fabrici d’Acquapendente, Milano, Mediamed Edizioni Scientifiche, 2004. pp. 156–169.
(3). Sterzi G., Le ‘Tabulae Anatomica ed i loro codici marciani con note autografe di Hieronymus Fabricius ab Aquapendente, Anat Anzeiger, 35, 1909, pp. 338–348. Sterzi esprime il suo apprezzamento a pag. 346.
(4). Riva A., Conti G., Solinas P., Loy F., The evolution of anatomical illustration and wax modelling in Italy from the 16th to early 19th centuries, J Anat., 216 (2), 2010, pp. 209–222.
(5). Lanza B., Azzaroli Puccetti M.L., Poggesi M., et al., Le Cere Anatomiche della Specola, Firenze, Arnaud 1979; Lemire A. M., Artistes et mortels, Paris, Chabaud, 1990; vedi anche: Riva et al. op. cit.
(6). Cooke R.A., A moulage museum is not just a museum. Wax models as teaching instruments, Virchows Arch., 457 (5), 2010, pp. 513-520.
(7). Anche se già Gaspare Aselli nel 1622 aveva prodotto tavole anatomiche xilografiche con effetto di quadricromia.
(8). http://www.photo.rmn.fr/ Package/2C6NU0DRQNM8
(9). Kemp M., Style and nonstyle in anatomical illustration. From Renaissance Humanism to Henry Gray, J. Anat., 216, (2010), pp. 192–208.
(10). Bourgery J.-B. M., Traité complet de l’anatomie de l’homme comprenant la médecine opératoire, avec planches lithographiées d’après nature par Nicolas Henri Jacob, Paris, C.-B. Lefranc, 1831-1854.
(11). Inventata nel 1796 dal musicista tedesco Aloys Senefelder, la litografia si diffonde rapidamente in Francia e in Europa – i primi atelier litografici francesi si aprono all’inizio dell’Ottocento.
(12). Jean Clair, Le farfalle dell’anima. Conferenza presentata al XXIII Congresso dell’ANMS (Associazione Nazionale Musei Scientifici), Venezia, 13 Novembre 2013
(13). Collice M., Collice R., Riva A., Who discovered the sylvian fissure?, Neurosurgery, 63 (4), 2008, pp. 623-628; discussion 628.
(14). Collice M., Sulle spalle dei giganti. Da Galeno a Winslow sul seno cavernoso e sul circolo anastomotico della base, Milano, Divisione di Neurochirurgia. Ospedale Niguarda Ca’ Granda, 2000
I libri di Massimo Collice
Antonia Francesca Franchini
Lorenzo Lorusso
Alessandro Porro
Dall’analisi del fondo librario appartenuto a Massimo Collice e pervenuto in donazione alla Scuola Grande di San Marco, si evince facilmente la presenza di due nuclei, apparentemente distinti: 13 opere sono state pubblicate nel XX e nel XXI secolo, mentre le restanti 39 sono state pubblicate antecedentemente (alcune opere sono presenti in edizione anastatica).
A riguardo dei contenuti, si possono distinguere in primo luogo le opere di argomento storico medico, di ambito generale e specialistico, che esprimono ed evidenziano la necessità per il possessore di consolidare una base metodologica storiografica, sulla quale poi proporre opportune riflessioni scientifiche (sappiamo, infatti, che Massimo Collice si dedicò ad approfondire taluni aspetti storici correlati alla disciplina neurochirurgica).
Non stupisce, quindi, il ritrovare talune opere di eminenti storici della medicina del Novecento: dai classici volumi di Arturo Castiglioni (1874-1953) a quello di Luigi Belloni (1914-1989); dal volume di Adalberto Pazzini (1898-1975), al repertorio enciclopedico dedicato alla chirurgia e curato da Davide Giordano (1864-1954), per finire al dizionario – opera postuma – di Enrico Marcovecchio (1902-1992).
In questo contesto, deve anche essere segnalata la presenza della ristampa anastatica dei cinque volumi che Salvatore De Renzi (1800-1872) stampò alla metà del XIX secolo, e che rappresentano ancor oggi una affidabile fonte storico medica.
Non mancano poi volumi stampati già negli anni Duemila, di interesse storico medico e museologico generale e specialistico.
I restanti volumi sono rappresentati in grande maggioranza da edizioni antiche di anatomia, medicina e chirurgia.
Sono poi presenti sette opere ottocentesche e due opere di manualistica novecentesca: un’
edizione del classico trattato di anatomia di Jean Léo Testut (1849-1925) e un esemplare di quello di fisiologia di Silvestro Baglioni (1876-1957). Anche fra i testi antichi, possiamo proporre alcune differenziazioni, giacché alcuni volumi, presenti in forma di dizionario, non solo ci ricordano l’utilità generale di tale categoria bibliografica per l’esercizio medico chirurgico del tempo, ma essi stessi rappresentano capisaldi e strumenti preziosi di interpretazione storico medica: valga l’esempio del Lexicon di Bartolomeo Castelli che ebbe grande diffusione nel XVII secolo, presente in due esemplari.
Oltre ad opere classiche della medicina, rappresentate da un’edizione celsiana, importanti volumi anatomici attraggono la nostra attenzione.
Spicca su tutti la mirabile, imponente edizione del 1604 dell’opera di Anders van Vesel (Andreas Vesalius, 1514-1564).
Il suo frontespizio figurato simbolicamente ed emblematicamente richiama la raggiunta autorità del grande anatomico fiammingo: egli da Padova e Venezia aveva rivoluzionato e codificato l’anatomia in modo incontrovertibile.
L’opera vesaliana è tuttavia affiancata da altre opere anatomiche di non minore rilievo: si va dall’edizione delle tavole anatomiche di Bartolomeo Eustachi (1500/1514-1575) curata da Bernhard Siegfried Albinus (1697-1770), all’opera di Jacob Benignus Winslow (1669-1770), presente in due edizioni, od ancora all’opera di Philip Verheyen (1648-1710), anch’essa presente in due edizioni.
Queste opere anatomiche, non solo ci indicano il conseguimento progressivo di una maturazione nella capacità e nella resa descrittiva, ma ci possono introdurre anche alla seconda caratteristica delle opere stesse di anatomia presenti nei libri di Massimo Collice.
Si tratta di opere che consentono di valutare con utilità anche la componente neuroanatomica, e ci portano a descrivere volumi ed autori maggiormente impegnati in questo particolare ambito di ricerca.
Spicca in questo contesto l’opera di Thomas Willis (1621-1675). Se in un senso generale le differenti edizioni delle opere di Willis, anche postume, dimostrano l’importanza e la diffusione dei suoi scritti, sia nei paesi protestanti, sia in quelli cattolici, ciò è ben testimoniato anche dalla presenza, fra i libri di Massimo Collice, della ricchissima edizione anastatica e bibliografica di Montréal del 1965, dedicata alla Cerebri Anatome, che affianca la presenza di un esemplare dell’Opera Omnia willisiana.
Di analogo interesse ed importanza appare l’opera anatomica di Niels Stensen (1638-1686) dedicata espressamente al cervello, e non si deve dimenticare, anche se in modo collaterale, la presenza della fondamentale opera di Antonio Maria Valsalva (1666-1723) dedicata all’orecchio. Ricordato incidentalmente, che anche la patologia è rappresentata da un’opera di Samuel Auguste André David Tissot (1728-1797) dedicata all’apoplessia (e sono presenti anche alcuni volumi tardo ottocenteschi di ambito neurologico), possiamo ora trattare delle opere chirurgiche lato sensu presenti nella raccolta di Massimo Collice.
In questa categoria possiamo ricomprendere anche trattazioni di anatomia chirurgica, oltreché volumi dedicati alle procedure ed agli strumenti chirurgici: spiccano fra tutte le opere di René-Jacques Croissant de Garengeot (1688-1759), Pierre Dionis (1658-1718), Lorenz Heister (1683-1758), Johannes Munniks (1652-1711), Percival Pott (1714-1788) Johann Schultheiß (Scultetus, 1595-1645), Di quest’ultimo autore si segnala la presenza di un esemplare dell’Armamentarium Chirurgicum, vera iconografia esaustiva dell’arte chirurgica del tempo.
Quanto agli autori italiani, essi sono rappresentati da due esemplari delle opere chirurgiche di Giovanni Ambrogio Bertrandi (1723- 1765), che era stato illustre anatomico e chirurgo dell’Ateneo torinese.
Com’è logico aspettarsi, minore è la presenza di volumi di ambito non chirurgico: tuttavia non mancano opere di gran rilievo, come quelle dell’enipontino Ferdinand Karl Weinhart (1654-1716), di Gabriele Falloppio (ca. 1523-1562), di Adrian von Mynsicht (1603-1638). Infine, è presente una traduzione ottocentesca in lingua italiana del De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis di Giovanni Battista Morgagni (1682-1771), il padre dell’anatomia patologica.
Poiché si tratta di una delle prime traduzioni in lingua italiana di questo capodopera, vale la pena citarlo espressamente.
In conclusione, la raccolta libraria di Massimo Collicce, oltreché commendevole per l’intrinseco valore dei volumi, ci rende una buona rappresentazione dell’anatomia e della chirurgia secentesca e settecentesca e risulta indispensabile per la comprensione di taluni apporti storiografici, sui quali si è già trattato in altri contributi del presente volume.
Schede bibliografiche sintetiche delle opere donate
Albinus B. S., Explicatio tabularum anatomicarum Bartholomaei Eustachii […], Leidae, Apud Johannem & Hermannum Verbeek, MDCCLXI.
Baglioni S., Elementi di fisiologia umana, Roma, Bardi, 1926.
Barbette P., Oeuvres chirurgiques et anatomiques […], A Lyon, Chez Iean Bapt. Guillimin, MDCLXXX.
Belloni, per La storia della medicina, Sala Bolognese, Forni, 1990.
Bertrandi A., Traité des opérations de chirurgie […], A Paris, Chez Théophile Barrois le jeune, MDCCLXXXIV:
Bertrandi A., Trattato delle operazioni di chirurgia […] Tomo II, In Nizza, Appresso Gabriele Floteront, MDCCLXIII:
Boyer A., Trattato delle malattie chirurgiche e delle operazioni convenienti […], Milano, Truffi, (poi Firenze, Coen), 1832-1835.
Boyer (de) H., Études topographiques sur les lésions corticales des hémisphères cérébraux, Paris, Au bureaux du Progrès Médical-V. A. Delahaie, 1879.
Carugo B., Breve storia della medicina, della diagnostica e delle arti sanitarie. Fatti, scoperte scientifiche, curiosità e altro…, Milano MZ Congressi, 2006.
Castelli B., Lexicon medicum graeco-latinum […], Tolosae, Apud Bernardum Dupuy, 1669.
Castelli B., Lexicon medicum graeco-latinum […], Patavii, ex Typographia Seminarii, MDCCXCII.
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Croissant de Garengeot R.-J., Traité des operations de chirurgie, fondé sur la mécanique des organes de l’homme, & sur la Théorie & la Pratique la plus autorisée […], A Paris, Chez Huart, MDCCXXXI.
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